Recensione: Le parole di Sara di Maurizio de Giovanni



Napoli quanti volti ha? E quante voci? Infinite.
Ci sono voci, però, che non ascolteremo mai, i cui sussurri ci giungono nel vento e portano con sé mille racconti. Ne "Le parole di Sara" [Rizzoli], Maurizio de Giovanni ci suggerisce che, l'oscurità dietro le parole che non udiamo contiene segreti che forse non siamo in grado di sopportare.

«Speravi che, prima delle rughe e dei sogni sul corpo, sarebbe arrivato il disinteresse. Perciò, via, fuori la bramosia, e dentro altri piaceri: il potere, per primo. Poi i libri, il vino, la musica. E magari, alla fine, andartene come se ne vanno in molti della tua razza, a duecento all'ora contro un muro o giù da un terrazzo con vista panoramica sulla città.»

Sara Morozzi era un'agente di un'unità speciale di sorveglianza, una specialista nella lettura del linguaggio non verbale [l'abbiamo conosciuta in "Sara al tramonto"]. Adesso è una nonna che, di tanto in tanto, si occupa ancora di misteri e delitti per conto della sua vecchia squadra, ma non è così semplice. Quando Teresa Pandolfi, sua vecchia amica e attuale direttore dell'unità, la chiama perché il suo giovane amante è scomparso, Sara inizia a indagare nell'ambiente universitario napoletano, dove Sergio Minucci è assistente nella facoltà di Scienze Politiche. Più che indagare, però, Sara osserva, ascolta, registra i movimenti e le espressioni di chi incontra. Pian piano, il caso si rivela molto più complesso di quanto le potesse sembrare all'inizio, così Sara si circonda di chi crede che, in modi anche molto trasversali, possa aiutarla: Viola, l'ultima compagna di suo figlio, e l'ispettore Davide Pardo la affiancano in quelle che ormai hanno imparato essere indagini sui generis, perché Sara è una persona totalmente sui generis.

«Era una donna di molti silenzi, ma adesso aveva scoperto di custodire parole nascoste che dicevano tanto di lei, anche senza essere pronunciate, proprio come quelle che era abituata a leggere negli altri.»

"Le parole di Sara" ci porta in giro per una Napoli che non è quella di Gomorra e non è quella dei film di Totò, è un territorio al confine tra i quartieri residenziali e la periferia anonima, è un luogo dove si dice qualcosa ma i gesti del corpo dicono tutt'altro, è uno sfondo che sfila fuori al finestrino di un'auto in corsa in una notte di pioggia.
In questo nuovo capitolo, De Giovanni ci racconta nuovi segreti della vita di Sara e di quelli che le ruotano attorno: ho particolarmente apprezzato i nuovi risvolti del rapporto tra Davide Pardo e Viola, anche se niente è successo e niente è stato detto, ma l'autore è bravissimo a farci intendere tutto un mondo di possibilità.

«Perché se da una manciata di frasi Viola aveva intuito quello che aveva dentro, allora le parole di Sara esistevano, e le urlava attraverso gli occhi.»

Nonostante abbia amato ogni parola di questo libro, l'ho trovato più diluito rispetto al precedente: come se i colori forti e abbaglianti delle rivelazioni e dei segreti - che nel precedente libro erano un pugno allo stomaco - qui fossero diventati più pastello, acquerellati. Ciò non toglie che resto in fervente attesa di leggere ancora di Sara, di Davide, di Viola e anche della nuova recluta nella squadra, Andrea Catapano. Come tutta la produzione di Maurizio de Giovanni, anche la serie di Sara crea per me un fortissimo legame emotivo con i personaggi ed è questo che rende ogni libro un'avventura coinvolgente di cui si aspetta sempre nuovi sviluppi.

«Le parole. Le tue parole, Mora. Le parole di Sara. Niente da dire, mai, e i sentimenti nascosti. Le parole di Sara, la donna che non si maschera, che se ne andò da casa per seguire un uomo, che voltò le spalle al lavoro per amore. Vuoi sapere cosa voglio, Mora? Come posso dirtelo, se sono morta? I morti non parlano.»

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