Recensione: Rue de Berne, numero 39 di Max Lobe



Una delle prime cose che ho sentito dire, quando sono arrivata a Losanna, è che a Rue de Genève ci sono le signorine che offrono la loro compagnia in cambio di denaro.
Quando mi è capitato sotto gli occhi il titolo "Rue de Berne, numero 39" di Max Lobe [66thand2nd], ho letto la sinossi e la coincidenza mi è sembrata bizzarra e affascinante.
Il libro, infatti, è ambientato a Ginevra e la Rue de Berne del titolo è la strada dove si concentra la prostituzione ginevrina. Mi sono chiesta come fosse possibile che in due città svizzere, nemmeno troppo distanti, due strade intitolate ad altrettanti città elvetiche fossero il luogo deputato alla mercificazione della donna. A questo punto, ho immaginato a Berna una Rue de Lausanne - per chiudere la triangolazione - dove le donne si dedicano al commercio più antico del mondo.

La storia è raccontata dal protagonista, Dipita Rappard, figlio di Mbila, una delle prostitute che vivono e lavorano a Rue de Berne. Attraverso la voce di Dipita, ripercorriamo la vicenda di Mbila che, dal Camerun, arriva nella ricca città elvetica: la storia di Mbila è la storia di migliaia di ragazze e donne che, per sfuggire alla povertà, si piega a compromessi inaccettabili e disumani. Una miriade di personaggi, tutti con una storia di soprusi e violenza alle spalle, ruota attorno al giovane che vive una normalità sopra le righe, contraffatta da quattro mura che danno l'illusione di essere una casa.
Dipita racconta di un passato recente mentre lui, nel presente, è incarcerato a Champ-Dollon per un crimine che, a tutta prima, non conosciamo ma che si delineerà pagina dopo pagina.

Si sente la voce di Max Lobe in ogni pensiero di Dipita, in ogni dolore del giovane, in ogni assurdità umana accettata come inevitabile. L'autore, nato in Camerun e attualmente residente in Svizzera, ci presenta una fotografia lucida e impietosa di un angolo di mondo di cui conosciamo l'esistenza, ma che siamo portati a ignorare perché troppo doloroso da guardare.

Il contrasto tra la ricchezza di hotel lussuosi e lo squallore della condizione delle donne che si prostituiscono a qualche metro da quegli hotel, è descritta in maniera così lampante da far venire la pelle d'oca. Spesso, durante la lettura, mi sono chiesta come fosse possibile, per l'umanità, cadere così in basso, come fosse possibile che nessun legame o sentimento fosse tutelato in nome di un bene superiore. Ma neppure per un attimo, pagina dopo pagina, ho dubitato che fosse tutto vero, che la bruttura umana è capace di raggiungere vette di bassezza inimmaginabili.

"Rue de Berne, numero 39" è un libro che dovrebbe essere letto da tutti, anche dai più giovani, perché parla di umanità, di accettazione, di diritti umani e di guardare in faccia al mondo così com'è, soprattutto se ha una faccia sofferente e bisognosa di calore umano.



[libro omaggio della casa editrice]

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