Recensione: Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh


«Voglio solo prendermi un po' di tempo per me stessa. 
Questo è il mio anno di riposo e oblio.»
Quando ci accadono cose più grandi di noi, spesso vorremmo chiuderci in casa e riemergere in un tempo indefinito sperando che tutto sia passato. Alla fine, però, almeno per quanto mi riguarda, prevale sempre la vita, quell'energia sotterranea che spinge, spinge, finché non riprende il controllo.

La protagonista de "Il mio anno di riposto e oblio" di Ottessa Moshfegh [Feltrinelli] mette in atto un piano pressoché perfetto per non permettere alla vita di prevalere e regalarsi il suo anno di isolamento da qualsiasi cosa, anche e soprattutto da se stessa.
«Iniziai ad andare in "ibernazione" come meglio potevo a metà giugno del 2000, a ventisei anni. Vidi l'estate morire e l'autunno diventare freddo e grigio da una stecca rotta della veneziana.»
Il romanzo è il racconto in prima persona di come una donna bella, intelligente e colta abbia pian piano preso coscienza del vuoto che aveva ormai occupato ogni spazio della sua vita: dopo la morte del padre e il suicidio della madre poche settimane dopo, si ostina a continuare la propria vita fatta di studio, poi lavoro e una relazione più fisica che emotiva con un uomo che non la ama. Tutto sembra andare avanti senza scossoni, all'esterno come all'interno di lei.
Fin quando, un granellino alla volta, la sua volontà crolla: non asseconda più le manie di grandezza del suo capo alla galleria d'arte dove espongono artisti d'avanguardia - insieme a ciarlatani - che la costringe a fingersi annoiata per mantenere le distanze coi clienti; non finge più di provare interesse per le relazioni di Reva, la sua migliore amica, con cui in realtà non ha mai sentito una reale vicinanza emotiva; non cerca più di convincersi che Trevor un giorno la amerà davvero.
Crolla la sua volontà di rimanere sveglia quando vorrebbe solo dormire, di ricordare quando vorrebbe solo perdersi nell'oblio, di vivere quando vorrebbe solo stare immobile a guardare il tempo che passa.
«Succedevano un sacco di cose a New York, come sempre, ma nessuna toccava la mia vita. Era questo il bello di dormire, la realtà si distaccava e mi arrivava nella mente in modo casuale come un film o un sogno. Era facile ignorare quello che non mi riguardava.»
"Il mio anno di riposo e oblio" è una lunga conversazione dolorosa che la protagonista fa con se stessa, coi ricordi dei genitori, con l'assenza che ha caratterizzato tutta la sua vita, quel buco nero che è diventato il perno attorno a cui ruota il nuovo progetto di dormire ininterrottamente grazie a un cocktail che farmaci che le annullano la coscienza di sé.
«Oh, dormire. Nient'altro poteva darmi altrettanto piacere, libertà, il potere sicuro di muovermi e pensare e immaginare, al sicuro dalle miserie della mia vita da sveglia.»
Non è stato semplice leggere di tutto il dolore che Ottessa Moshfegh ha messo in questo libro: anche quando non lo chiama col suo nome, si percepisce chiaramente la disperazione di vivere e, paradossalmente, l'afflizione di non voler morire.
Mi ha commosso, in alcuni brani, la caparbietà quasi naïf di questa ragazza estremamente intelligente, invidiata dai più per la bellezza e la ricchezza, che ingerisce decine e decine di pillole a manciate come fossero caramelle, e poi dichiara fermamente di volere una vita nuova, di volersi ibernare in un sonno allucinato per rinascere e avere la sua seconda possibilità.

Il vagare schematico per un numero ristretto di strade, le azioni ripetitive, il muoversi sonnambula per i negozi, l'isolamento totale, sono tutti elementi che, per certi versi, mi hanno ricordato alcuni personaggi delle opere di Paul Auster.

Siamo nel 2000 a New York - una New York di mostre scintillanti e party scatenati - e, sebbene l'ottundimento da droghe sia forte, nemmeno la protagonista di questo libro può ignorare quello che sta per succedere di lì a qualche mese e che, volenti o nolenti, toccherà tutti. Dopo, probabilmente, moltissime persone avrebbero voluto il loro anno di oblio.

Commenti