Recensione: La scatola di cuoio di Gianni Spinelli


«L'avaro non fa nulla di buono se non quando muore.» Publilio Siro.

La vita di provincia è fatta di mille segreti e altrettante invidie. A voler stare a sentire certe voci, nessuno fa nulla di buono, tranne quelli che le voci le mettono in giro. Tutti sono colpevoli di qualcosa, soprattutto quando di mezzo c'è "la roba".

"La scatola di cuoio", ultimo romanzo di Gianni Spinelli, edito da Fazi, intesse una storia che sa di favola nera e leggenda oscura, con un tesoro da trovare e tanti mostri a proteggerlo.

A San Clemente, in provincia di Matera, nel febbraio del 1959 muore don Pantaleo, all'anagrafe Vincenti Domenico, Provinciale dei Cappuccini senza mai essersi avvicinato a un convento. La sua tanto chiacchierata eredità va a Marta Fontiuzzi, moglie di suo nipote: la coppia è senza figli e questo scatena la curiosità e l'avarizia del parentado tutto, che cerca di accaparrarsi una fetta dell'enorme quantità di beni. Rimasta presto vedova, Marta non fa altro che alimentare il desiderio dei fratelli e dei nipoti nei confronti dell'eredità per ottenere dei benefici in termini di servigi. 

Tra tutti i pretendenti all'eredità, nessuno ha preso in considerazione il particolare che don Pantaleo è stato ritrovato morto riverso su una scatola di cuoio. Nessuno tranne l'ingenuo Antonio, marito di una nipote di Marta, che, all'atto di dover scegliere qualcosa, in tutto l'ammasso di oggetti di maggior valore, sceglie quella misteriosa scatola di cuoio consunto, scatenando le ire della moglie.
Cosa contiene la scatola? Perché don Pantaleo si chiudeva nello studio a rimirarla per ore?
«Nello studio, Antonio si era bloccato di fronte a una scatola di cuoio, sistemata su un cassettone. L'aveva guardata a lungo, come attratto da un fluido, da una cosa più grande di lui. E donna Marta, avvicinandosi all'orecchio, gli aveva spiegato: "In quella scatola c'è un aggeggio... Si accende e appaiono cose strane".»
"La scatola di cuoio" è il palcoscenico su cui salgono e danzano i vizi peggiori che possono nascere e ingrandirsi nell'animo umano. 
La smania di possedere sempre di più, il desiderio di impossessarsi degli averi degli altri, la lussuria, la lascivia, la vanità, la violenza della brama di ricchezze che calpesta tutto e tutti, muovono come fili i personaggi di questa storia magistralmente narrata.
Lo stile di Spinelli possiede l'immediatezza del giornalismo e l'ironia della black comedy che riesce a strappare un sorriso obliquo anche di fronte agli istinti più bassi, anzi forse proprio in virtù di quelli.

La provincia è lo scenario perfetto, una serra in cui l'avarizia e l'invidia pasciono a dismisura, alimentate dai pettegolezzi, dai segreti e dall'abitudine a guardare sempre il praticello del vicino.
Nessuno sembra salvarsi dallo sguardo impietoso di Spinelli, che mette sotto una lente di ingrandimento qualsiasi difetto, debolezza o desiderio inconfessato: è come se ogni aspetto della natura umana venisse denudato dalla penna dell'autore e il lettore non può fare altro che leggere,  leggere e continuare incessantemente a leggere perché è, ormai, entrato nel meccanismo di voyeurismo dei vicini pettegoli, e non riesce a distogliere lo sguardo dalla pagina fin quando non ha saputo tutto di tutti.

Ho trovato geniale la trovata della scatola, da sempre caverna in cui i desideri si ingrandiscono in maniera inversamente proporzionale alla possibilità di conoscerne il reale contenuto. L'immaginazione, si sa, è lo strumento più potente che possediamo, in grado di cancellare in un colpo solo tutti i vizi, i demoni e i peccati che rendono la vita il più ardente degli inferni.


[libro omaggio della casa editrice]

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