Recensione: Transiti di Rachel Cusk

«Un'astrologa mi ha scritto una mail dicendo di avere notizie importanti sul mio immediato futuro. Desiderava farmi sapere che nel mio cielo si sarebbe presto verificato un transito importante.»
Inizia così, con una profezia sul futuro, "Transiti", il secondo capitolo della "trilogia dell'ascolto" di Rachel Cusk [Einaudi].

Ritroviamo Faye che, dopo la fine del suo matrimonio, si è trasferita a Londra coi figli e cerca una casa da comprare, decidendosi alla fine per un appartamento totalmente da ristrutturare. Allo stress dei lavori, si aggiunge l'odio ingiustificato dei vicini del piano di sotto che, sempre più malevoli, arrivano a minacciare lei e i manovali colpevoli di produrre rumori molesti.
Faye incontra amici che non vedeva da tempo, un ex fidanzato, parla con i muratori stranieri e con il titolare della ditta di ristrutturazione, anche il parrucchiere si confida con lei mentre decide se farsi la tinta o lasciare i colpi di luna tra i capelli. Ogni persona che incontra custodisce un episodio di vita di cui la mette a parte come se fosse la sola verità possibile.
«Qualunque cosa vogliamo pensare di noi stessi, non siamo che il risultato di come gli altri ci hanno trattato.»
Ho ritrovato lo stile di Cusk, già apprezzato in "Resoconto", e mi sono lasciata avvolgere dall'atmosfera inglese - così diversa dal calore greco del precedente capitolo -, che sembra stendere anche sull'umore dei personaggi una strana rassegnazione al destino e ai suoi infiniti giochi.

"Transiti" racconta le svolte, i passaggi, i cambiamenti piccoli e grandi che avvengono nelle vite a cui Faye presta ascolto: le narrazioni sono ricche di dettagli che danno valore a qualsiasi accadimento.
Nella ristrutturazione della casa di Faye ho riconosciuto la porta attraverso cui transitano i cambiamenti della sua vita, e l'odio immotivato dei vicini mi è sembrato l'occhio malevolo del fato che non sappiamo mai perché si stia accanendo verso qualcuno in particolare. 
«Scrivere è solo un modo di farsi giustizia con le proprie mani. E se ne vuoi la prova, non devi far altro che guardare le persone che hanno qualcosa da temere dalla tua sincerità.»
Ancora una volta, Rachel Cusk assesta un altro colpo d'ascia alla destrutturazione del romanzo  tradizionale, riassemblandolo a suo piacimento come un nuovo sistema autonomo, che respira dei respiri degli altri e suona delle voci di chi racconta, ma quello che conta più di tutti è l'orecchio che ascolta.

Ritrovarmi ad ascoltare/leggere i fatti di tante vite - non per ultima quella della protagonista - ha creato una familiarità con un mondo che, all'ultima pagina, mi è mancato.
«Prestando ascolto io avevo imparato molto di più di quanto avrei mai creduto possibile.»

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