Recensione: I passi nel bosco di Sandro Campani


«Lui è arrivato e gli bastava arrivare. Non gli occorreva altro. Lui veniva dal suo mondo e sapeva riportartici, lo conosceva più di te, aveva le chiavi, poteva portarti via con due parole, forse solo con il silenzio. Lui non si chiedeva se ti meritasse, per questo ti meritava. Lui sapeva come renderti infelice. Penso che tu già lo intuissi. Per questo lo hai seguito.»

Il fascino di una persona può manifestarsi al di là della persona stessa e della sua vita. Il fascino è qualcosa di segreto, impalpabile, indefinibile. E lo stesso può succedere per un personaggio di un libro, ben delineato, così definito da affascinare il lettore anche - e soprattutto - con la sua assenza.

A me è capitato con "I passi nel bosco" di Sandro Campani [Einaudi], col personaggio di Luchino, che diventa attore principale senza mai entrare in scena se non nei ricordi, negli sguardi, negli umori degli altri personaggi.

La storia inizia nei giorni di taglio del bosco che, per gli abitanti di una piccola comunità sull'Appennino tosco-emiliano, diventa l'occasione per riunirsi e lavorare fianco a fianco.
Prima di tagliare gli alberi del bosco di Fausto, però, vengono a galla storie, ricordi, rancori, amori mai nati o traditi troppo presto: ognuno ha qualcosa da rimproverare a Luchino, al secolo Vittorio, ma quel nome non lo ha mai usato nessuno, troppo duro con le doppie t, troppo formale per uno come lui che ti sfugge dalle mani.

Prima di arrivare nel bosco, Campani ci presenta la comunità, o almeno, alcuni rappresentanti di essa, come se così facendo, delineandoci i caratteri e i movimenti degli abitanti, conoscessimo anche il luogo, il colore della luce che si posa sulle case, l'odore di resina che si sente in alcuni angoli.
C'è Luisa, la barista del paese, amica di lunga data di Luchino e di altri personaggi che gli ruotano attorno: l'opinione di Luisa è schietta, a volte brutale, forse anche per questo nel racconto di altri personaggi lei viene descritta come una strana, una da evitare e sotto il cui sguardo non è salutare sostare troppo a lungo. C'è Betti che è la vedova di Fausto e la mamma di Beniamino, otto anni e la capacità di osservare quello che sta in giro: la donna cerca di portare a compimento il progetto del marito di creare un albergo diffuso nel borgo, il taglio del bosco contribuirà al procedere dei lavori.

Francesco è il notaio del paese, un uomo per bene, padre di Antonello e di Daniele, detto Danielone, uno scavezzacollo scansafatiche che più volte ha umiliato il padre. Antonello, invece, è da tutti considerato uno squalo, un affarista spietato, un avvoltoio che fiuta sempre l'occasione di fare soldi: cambia ragazza periodicamente, da quando una certa ragazza lo ha lasciato per seguire Luchino...
«Lui, se lo immagini, non riesci a immaginarlo fermo. Poi ha gli occhi chiari su quella carnagione che Dio bono, arrivano quelli che dicono: «Chissà cosa ci vedono le donne». Eh, guarda caso sono maschi. Te lo spiego io, cosa ci vedo.»
E poi c'è Luchino, che in realtà non c'è, lo si vede muoversi come un'ombra nel presente, con la sua auto scassata parcheggiata fuori l'albergo della Betti a testimoniare che non hanno solo immaginato il suo ritorno. È nel passato che Luchino è un leone, un amante formidabile ma incostante, un amico che cambia fedeltà come cambia il vento.

Attorno a loro, Oreste, Ettore, Emilia e i genitori di Luchino e Fausto che non perdono occasione per far sentire la loro voce in un ricordo, un episodio, un rimprovero.
«Perbacco anche Fausto era un bell'uomo, ma Luchino non si può capire, c'ha quella roba addosso, sembra che baci le cose nel toccarle.»
Ogni capitolo ha il nome del personaggio che lo racconta e il lettore riesce a sentirne la voce come se, seduti al tavolino di un bar, sulla sedia di fronte si avvicendassero avventori diversi, chi più chi meno chiacchierone, ma tutti con qualcosa da dire su Luchino.

Sandro Campani riesce a rendere comuni le miserie di animi semplici a cui sembra preclusa la gioia e anche l'amore - laddove se ne avverte un sentore - ha in sé sempre il seme tragico del tradimento o della morte. Ho apprezzato il linguaggio tecnico ma non artificioso del bosco, i nomi degli alberi, la loro posizione, il modo istintivo in cui tutti sanno quale albero deve essere tagliato prima e quale invece dopo, in un ordine che sa di rituale insito in ognuno di loro.

"I passi nel bosco" è il racconto corale di un sentimento condiviso, di un'emozione diffusa come un profumo nell'aria e quell'atmosfera mi ha avvolto fin dalle prime pagine. Le voci dei personaggi sussurrano al lettore e gli riportano dicerie della gente, gli rivelano segreti.
Tra passato e presente, si plana dolcemente alle rivelazioni finali, dove si sente forte e chiara la voce di Antonello, fino a quel momento nemesi del fascinoso Luchino, per chiudere un cerchio che, a ben guardare, ci rendiamo conto che non si chiuderà mai.
«Com'è possibile che lui rida in quel modo innocente, mentre fa soffrire qualcuno?»



[libro omaggio della casa editrice]

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