Recensione: Borgo Sud di Donatella Di Pietrantonio


«Tutto un passato mi ha richiamata indietro, come una molla che si allenta di colpo e torna alla posizione di partenza.»

Abbiamo lasciato l'Arminuta mentre con sua sorella Adriana assaporava la sensazione che, qualsiasi cosa fosse successa, l'una avrebbe sempre avuto l'altra, roccia e rifugio in qualsiasi tempesta.
Tre anni dopo, Donatella Di Pietrantonio torna a parlare con le protagoniste del suo capolavoro in "Borgo Sud" [Einaudi], il romanzo che ci racconta come sono andate avanti le vite delle due ragazzine diventate donne.

«Da ragazzine eravamo inseparabili, poi avevamo imparato a perderci.»

C'era da immaginarselo che si sarebbero perse: all'Arminuta era stata offerta la possibilità di continuare gli studi e il piacere che già da ragazzina traeva dai libri faceva presupporre che avrebbe proseguito su quella strada. La ritroviamo professoressa universitaria a Grenoble, si occupa di convegni, pubblicazioni, tesi, ma mentre nella sua testa c'è una vita vivacissima e in movimento, al di fuori sembra un po' in stallo. Una telefonata da Pescara la riporta indietro nel tempo e nello spazio martoriato che è sempre stata la sua famiglia.

Adriana è cresciuta, è una donna appassionata e irruente: come da bambina, non ha mai tenuto conto di nessun'altra volontà che non fosse la sua, e anche adesso, da adulta, non ha remore a irrompere nella vita della sorella con la pretesa di aiuto, di supporto e di qualsiasi cosa richieda l'istinto ferino che la guida.

«Ho delle colpe verso di lei. Da lontano è stato facile abbandonarla a se stessa. Ho diradato le chiamate, piano piano mi sono alleggerita del peso della sua vita.»

Le due donne diventano sempre più diverse, distanti nel loro modo di amare e di vivere, ma si aggrappano con le unghie all'unico legame che le accomuna, in silenzio. Così, quando Adriana bussa alla porta della sorella con un bambino in braccio, non ci sono dubbi che l'Arminuta la accoglierà e farà tutto quello che la situazione richiede: del piccolo Vincenzo - che porta il nome dello sfortunato fratello - sappiamo fin da subito che il destino sarà diverso, meno avverso, probabilmente ugualmente difficile dal piano emotivo ma con infinite possibilità intellettuali. 

Lo sguardo che la zia posa su di lui è pieno di speranza, ci vede la luce che Adriana pure ha sempre avuto ma che non ha saputo volgere alla piena realizzazione.

«Adriana ha legato la sua creatura a una storia di disgrazie e miracoli, morti e sopravvivenze: la storia disadorna della nostra famiglia.»

Da Grenoble affrontiamo anche noi un viaggio insieme alla voce narrante per arrivare in Italia, a Pescara, ritornare tra le strade che l'hanno vista studentessa, poi dottoranda e moglie innamorata di un marito fin troppo perfetto per non essere osservato con occhio più attento, alla ricerca della crepa nella superficie smaltata.

Piccoli indizi, premonizioni che sanno di paese e di campagna, le dicono che non è ancora arrivato il momento di stare comoda in quell'amore che pure le ha dato conforto. L'occhio di Adriana fa da contraltare a quella relazione che sembra perfetta e invece è un valzer di solitudini.

«C'era qualcosa in me che chiamava gli abbandoni.»

Donatella Di Pietrantonio ci racconta come due bambine dall'infanzia ruvida e scarna d'affetto siano diventate donne che sanno amare e sanno buttarsi a capofitto nella vita, senza risparmiarsi ferite e dolori.

Lo stile che già avevo amato ne "L'Arminuta" mi ha di nuovo preso per mano in queste pagine piene di flashback: dal tragico presente al doloroso passato, si cammina sui cocci rotti di esistenze che non hanno alcuna intenzione di stare dentro le righe, a volte per scelta, più spesso per imposizione del destino.
 
«Con mia sorella ho spartito un'eredità di parole non dette, gesti omessi, cure negate. E rare, improvvise attenzioni. Siamo state figlie di nessuna madre. Siamo ancora, come sempre, due scappate di casa.»

La famiglia è la protagonista anche qui, con quel suo modo disturbante di essere fuori luogo in qualsiasi posto non fossero le mura antiche e misere della casa di paese: le ferite causate dall'amore avaro di carezze dei genitori diventano cicatrici che, pur non pulsando più, fanno ancora male nei giorni difficili.
La distanza emotiva si esprime anche nella distanza fisica e l'Arminuta sente il bisogno di mettere sempre più chilometri tra se stessa e i baratri aperti nel suo cuore dagli amori non ricambiati della sua vita: prima per le sue due madri, poi per suo marito, infine per Adriana.

«Ci raccontavamo il meglio delle nostre vite, come si fa quando si è distanti.»

Più che il seguito de "L'Arminuta", "Borgo Sud" è il racconto della vita che avanza, del destino che si prende il suo posto e dello sguardo impietoso che ci viene richiesto per guardare in faccia alle conseguenze di scelte dolorose.

Ho amato ogni parola, ogni pensiero, ogni immagine. 
Una lettura necessaria di cui sentirò la mancanza. 
E chissà che tra qualche tempo, le voci di questi personaggi non tornino a raccontare la loro storia all'autrice. Vi confesso che lo spero con tutto il cuore.

«Per ognuna di noi restava la certezza dell'altra al fondo del dolore che non si siamo mai confessate.»



[libro omaggio della casa editrice]

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