Recensione: Il bambino nascosto di Roberto Andò


«Non c'è nulla che si possa insegnare, se non quello che si è, e non c'è nulla da imparare se non che l'amore si presenta in una sconcertante verità di forme impreviste.»

L'amore può nascondersi in una miriade di anfratti che, a volerli classificare, non basterebbero tutte le parole che conosciamo. Più è nascosto, più ci sorprende.
Gabriele Santoro, il protagonista de "Il bambino nascosto" di Roberto Andò [La nave di Teseo], trova l'amore nel bambino che, un giorno, si nasconde in casa sua.

Ciro è il figlio dei vicini di casa e, fino a quel momento, non lo aveva incrociato se non alcune volte per le scale, senza mai scambiarsi più di uno sguardo. Quando il bambino esce dal suo nascondiglio, Gabriele sente violato il suo nido, la sua casa, il luogo protetto nel quartiere dove ha deciso di vivere contro il parere della sua famiglia.
Ciro è in fuga dal padre camorrista che, in seguito a uno sgarro, vuole offrirlo come pegno di fedeltà nei confronti del boss.
Gabriele è professore di pianoforte al Conservatorio di Napoli e non ha mai capito di cosa vivesse il suo vicino, così quando ascolta la storia dalla bocca del figlio, viene catapultato in una realtà talmente lontana dalla sua vita, pur essendo fisicamente contingua, che gli sembra di essere piombato in un incubo.

«L'uomo è un animale venuto male, condannato a farsi carico di sfide impossibile, vocato a domande che non dovrebbe mai farsi.»

Insieme a Gabriele, veniamo stretti in una gabbia senza vie d'uscita: da regista, Roberto Andò riesce a tramutare le immagini in parole e nella nostra testa avviene la magia contraria, così che ci aggiriamo per l'appartamento di Forcella diventato sempre più claustrofobico mentre, fuori, il cerchio si stringe sempre di più. Ogni sguardo, ogni movimento, perfino le smorfie diventano dettagli di un'immagine viva nella nostra mente, che ci regala emozioni vorticose.

Uscito nel 2020, "Il bambino nascosto" è oggetto di una nuova edizione dopo che l'omonimo film è stato presentato, quest'anno, alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia con Silvio Orlando nei panni del professor Santoro.

Mi sono trovata tra le mani un libro immenso, con un abisso che si spalanca a ogni parola, perché per esprimere tutte le emozioni che torturano l'animo dei protagonisti non bastano tutti i significati della lingua italiana e napoletana.
Un libro da leggere e rileggere, per la poesia che ha in sé e che non si ferma alla storia che racconta.


«Si guardarono e, all'unisono, si avvinghiarono in un abbraccio che non sembrò più acconsentire ai freni della cautela o del pudore. Una sola, intollerabile, pulsazione li tenne stretti a celebrare una familiarità che non aveva niente a che fare col sangue, ma solo con l'irresponsabile frenesia del batticuore.»



[libro omaggio della casa editrice]

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