Recensione: Quattro galline di Jackie Polzin


«La vita non è altro che lo sforzo continuo di vivere. Certe persone lo fanno sembrare facile. Le galline no.»

Se vi è mai capitato di guardare una gallina, forse la prima cosa che vi è venuta in mente non è la nostalgia o una qualche chiave di lettura della vita. A me, almeno, non è venuto in mente niente del genere, per quanto da bambina mi sia divertita a correre in un giardino che era il regno di un esercito di galline.

Eppure, leggendo "Quattro galline" di Jackie Polzin [Einaudi] mi sono chiesta perché, prima, non avessi guardato meglio perché è così palese che una gallina sa.
Sa cosa è il dolore e la nostalgia.
Sa cosa è la mancanza e l'assenza.
Sa cosa pensano tutti quando la guardano.
Una gallina sa, ma probabilmente ha dimenticato.

«Le galline non sono consapevoli del loro status nel mondo, ma una cosa forse la intuiscono: il mondo è strapieno di polli.»

La voce della protagonista ci porta a casa sua, in questa casa che ha perso valore a causa di un quartiere in declino, nel suo cortile dove, in un capanno degli attrezzi, ha allestito un pollaio con quattro galline a cui ha dato nomi propri - Gloria, Gam Gam, Testanera e Miss Hennepin County - e che osserva nei più minuti dettagli della loro vita animale.
Sappiamo che vive col marito Percy, un intellettuale sui generis che aspetta una risposta per una cattedra all'università; sappiamo che ha un'amica, Helen, la quale fa l'agente immobiliare, le procura lavoretti come donna delle pulizie nelle case prima di portarci dei potenziali acquirenti, e ha un bambino, Johnson, che ama passare del tempo con le galline.

Aleggia sulla casa, nelle sue stanze, sul giardino con un acero pericolante, nel pollaio, una strana malinconia, la nostalgia per qualcosa che sarebbe potuto essere ma non è stato, per una felicità che, sebbene attesa, non è mai arrivata.

«Avevo smesso di fare le pulizie per diventare madre, e invece cosa avevo scoperto? Che il mondo accetta il fallimento solo finché continui a provarci.»

Il dolore pian piano prende corpo in una culla vuota e, da lì, avvolge qualsiasi cosa, come il pulviscolo del mangime che resta a mezz'aria per un lungo momento e poi si deposita su tutte le superficie del pollaio, impastandosi indelebilmente. La mancanza è qualcosa di palpabile per questa donna che, volente o nolente, mette tutta se stessa nella sopravvivenza delle galline.
Ma le galline sono animali fragili, si sa.

Jackie Polzin esordisce con questo libro di difficile definizione ma che ha un significato lampante una volta che si entra nella storia.
Siamo fragili come galline anche noi, a volte non ci rendiamo conto del mondo che ci circonda e viviamo perseguendo un solo scopo.
Chissà cosa succederebbe se uscissimo dal pollaio.
Oppure, come la protagonista, se allungassimo lo sguardo oltre, lasciando il cortile vuoto alle spalle.

È un libro che mi ha fatto bene in mille modi e, all'ultima pagina, mi sono allontanata da quel cortile continuando a guardare indietro per vedere se, caso mai, Gloria fosse tornata.

«Ho sempre pensato che le galline fossero incapaci di sperare, ma forse sono semplicemente prive di un motivo per farlo.»


[libro omaggio della casa editrice]


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