Recensione: Fine di un matrimonio di Mavie Da Ponte


Libero era ancora davanti allo specchio a guardarsi dritto negli occhi. «Allora, sei pronto?» lo sollecitai. «Berta, ascolta, ci dobbiamo lasciare» sbottò. «Ho un'altra donna.»

Il disamore è un tarlo che si insinua subdolamente e, indisturbato, corrode ogni cosa.
In "Fine di un matrimonio", l'esordio narrativo di Mavie Da Ponte [Marsilio] Berta e Libero hanno vissuto per anni, uniti in matrimonio, sotto il segno del disamore.
Disamore per l'altro, disamore per sé stessi, disamore per l'amore stesso.
Finché Libero non incontra una donna che gli toglie la benda che indossa a causa della mancanza di sentimento e allora - solo allora! - Berta si rende conto che la loro unione era un'impalcatura piena di buchi, che i tarli avevano pasteggiato con le ossa del loro rapporto che, alla fine, è crollato.

«Avevo registrato quella sua dichiarazione come un dato di fatto, ma non le avevo assegnato alcun potere, quasi non dovesse avere conseguenze sulla nostra vita quotidiana.»

La scena si apre in casa loro, di sera. Stanno per uscire, devono partecipare all'inaugurazione di una mostra alla galleria d'arte di Berta. La moglie si affaccenda alla ricerca degli ultimi dettagli, il marito resta inerme, non sa dove collocarsi precisamente, forse osserva la danza nervosa della sua compagna. Poi parla, pianissimo, e non riusciamo che a sentire la sua voce, al di sopra del chiacchiericcio, al di là dei pensieri che sembrano non aver registrato la gravità dell'accaduto.

Non sappiamo come si sono conosciuti, Libero e Berta, ma abbiamo ben chiaro fin da subito che i due provengono da ambienti molto diversi: lui è ginecologo, figlio di una famiglia di ginecologi, ricchezza antica, consolidata a tal punto che si finge quasi che non ci sia; lei è figlia unica di un fruttivendolo e di una donna della pulizie, è nata e ha vissuto la sua giovinezza nel Quartiere, la zona popolare della città, e da quando ha memoria ha solo sognato di scappare da lì. Il matrimonio la solleva di peso dalla responsabilità di fare qualcosa della sua vita e la catapulta nella condizione di moglie socialmente rispettabile, annoiata, che non ha bisogno di contare il resto della spesa né di guardare la realtà che la circonda.

Solo quando Libero lancia la bomba, Berta si accorge di aver vissuto tutto il tempo con qualcuno che non conosce: ha dato per scontato i silenzi del marito tanto da non ritenere interessanti le sue chiacchiere, si è abituata agli sguardi sfuggenti che l'uomo le appoggia addosso tanto da non riuscire a immaginare che possa guardare con interesse un'altra donna. La patina di consuetudine dettata dalla sua condizione di moglie all'improvviso si sfalda per mostrare i vuoti, le voragini di sentimento in cui nessuno si è mai premurato di guardare.

«La fine del mio matrimonio si consumò nello stesso modo: mi ero ostinata a non pensarci per anni, ma quando arrivò, quando Libero chiuse la porta di casa e della nostra relazione, mi parve un dolore sopportabile.»

Mavie Da Ponte ci porta nel vuoto delle giornate di Berta dopo che l'impalcatura sociale del suo matrimonio le si è sbriciolata tra le mani, senza che fino a quel momento le avesse prestato la minima attenzione.
Da un giorno all'altro, Berta di trova a fare i conti con i giudizi del mondo, senza lo scudo che il matrimonio le aveva offerto: l'impietosa ironia dell'amica Carla che sembra sapere da sempre che quel matrimonio sarebbe finito così; la cattiveria della madre che sa dove colpirla per farle più male; gli sguardi impudichi degli uomini agli occhi dei quali si sente preda; il disgusto per sé stessa e il suo bisogno di attenzioni che la definiscano.

È così che la noia delle giornate tutte uguali diventa insicurezza per un domani senza coordinate né prospettive, l'indifferenza per quel rapporto sbiadito diventa invidia per la nuova donna che stringe la mano al marito, la nuova condizione di donna sola le causa imbarazzo.

La voce della protagonista di "Fine di un matrimonio" è una nenia che, mutando talvolta il ritmo, ripete  "io, io, io" come unica àncora di fronte all'indifferenza di cui accusa il mondo: il marito, la madre, l'amica Carla, Lorenzo, tutti colpevoli di non darle quello che lei non vuole.
Berta non ama ma non vuole non essere amata. Berta vuole ferire ma non sapere di aver ferito. Berta vuole tirare fuori la donna del Quartiere che è dentro di lei ma non vuole essere riconosciuta come una del Quartiere.

Forse sono le infinite contraddizioni di questo personaggio che rendono difficile al lettore affezionarsi a lei.
Da Ponte utilizza talmente bene la sua maestria nella descrizione - di luoghi, atteggiamenti, sguardi - che, alla fine, siamo portati a ripagare l'indifferenza di Berta con uguale indifferenza, pur compartecipando al dramma della sua vita che va alla deriva.

Mi sono chiesta fino alla fine perché, pur essendo irritata da questo personaggio (ma anche da Carla, dalla madre, da Lorenzo...), non riuscissi a staccarmi dalla lettura e solo nel finale ho trovato la risposta.
Perché "Fine di un matrimonio" è un romanzo che si regge su una lingua morbida, evocativa, sensuale nella dettagliata scelta degli aggettivi, oserei azzardare anche dei suoni, che veicola un'estetica talmente ben costruita da non riuscire a lasciarla andare prima dell'ultima pagina e, arrivata a quella, girarla e continuare a pensare a Berta e alla sua vita evanescente.

«In tanti anni di matrimonio, non gli avevo mai preso la mano: la nostra vita insieme era stata uno spreco di occasioni.»


[libro omaggio della casa editrice]

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