«Io sono qui. Una dichiarazione di esistenza così semplice che non dovrebbe essere necessaria a nessun essere umano.»
Se di un libro non riusciamo a definire il genere, se non forse attraverso l'attaccamento che genera in noi - e che non rientra in nessuna categoria -, ci troviamo di fronte a una grande storia, che non si esaurisce nello spazio delle pagine stampate.
Mi sono trovata per le mani una storia immensa fin dall'incipit di "Io sono qui" di Angie Kim, libro d'esordio della neonata casa editrice Heloola e, a distanza di qualche settimana dalla lettura, quel buon sapore del romanzo di qualità, persiste sul mio palato di lettrice esigente.
L'incipit mi ha catturata subito, capirete perché:
«Non chiamammo subito la polizia. Più tardi mi sarei incolpata, chiedendomi se le cose sarebbero potute andare diversamente se non avessi minimizzato, insistendo che Papà non era scomparso scomparso ma solo in ritardo, probabilmente ancora nei boschi con Eugene, pensando che fosse scappato via da qualche parte.»
I Parkson non sono una famiglia tipica: la madre lavora e il padre ha scelto di stare a casa coi figli (a cui hanno dato un cognome nuovo formato dall'unione dei loro, Park e Parson); poi, hanno una coppia di gemelli eterozigoti, maschio e femmina; inoltre, sono una coppia di etnia e cultura mista coreana-americana; e soprattutto, hanno un figlio con bisogni speciali.
Quando Mia, la figlia che è tornata a casa dal college durante la pandemia di Covid e ora fatica a capire cosa ne sarà della sua vita, vede arrivare suo fratello Eugene di corsa, pensa due cose: la prima è che Eugene non sapeva correre, lo dicevano i medici, i fisioterapisti, e invece stava compiendo proprio sotto i suoi occhi una serie di movimenti estremamente coordinati che la incantavano per la loro meravigliosa normalità; la seconda cosa è che Eugene è solo, e suo fratello non è mai solo, mai.
Nella sua inaspettata corsa, Eugene travolge in pieno Mia che, nella caduta, dimentica tutto quello che le era passato fuggevolmente nella testa, e resta sdraiata sul prato davanti alla loro casa, cercando di rimettere insieme i pensieri.
Quando Mia recupera il senso del presente, si rende conto che suo padre non è rientrato e che Eugene sta saltando in camera sua, incontrollatamente, da quando è rientrato di corsa.
«La vita non è come la geometria; momenti terribili che ti stravolgono l'esistenza, non succedono in modo prevedibile, come alla fine di una retta inclinata.»
Cosa è successo ad Adam Parson? Sarebbe facile se si potesse chiederlo a Eugene, ma il ragazzo è affetto da autismo e dalla sindrome di Angelman a mosaico, che gli impedisce di comunicare e gli conferisce un'espressione perennemente sorridente e serena.
In un battito di ciglia, Mia e il suo gemello John, insieme alla madre Hannah e Eugene, sono catapultati in una situazione spaventosa in cui il padre è scomparso, come inghiottito dalla terra, e l'unica persona che potrebbe sapere qualcosa non può rivelarlo.
Sebbene la polizia - convocata appena tutti si sono resi conto che Adam non tornerà a casa da solo - voglia convincerli che la scomparsa del padre rientri in un normale caso di allontanamento da casa (ipoteticamente anche volontario), in realtà anche quello che è successo non ha niente di tipico.
I Parkson si trovano stretti nella morsa dei sospetti e dei dubbi più profondi: e se Adam si fosse davvero stancato della loro vita familiare e se ne fosse andato? E se Eugene avesse compiuto un gesto di cui non si è reso conto, ma che ha avuto conseguenze terribili che non è capace di raccontare? E se la chiave di lettura di tutta la loro vita, in realtà, fosse nascosta altrove, negli appunti apparentemente senza senso del padre?
«Per il resto delle nostre vite, ogni volta che uno di noi andrà via e non tornerà in tempo, non farà sapere agli altri dov'è, ricorderemo questo momento, quello che potrebbe succedere. E cadremo a pezzi.»
La voce di Mia ci accompagna in un racconto che, appena si rende cosciente della scomparsa del padre, si biforca: da un lato, il thriller, i brividi e la tensione di scoprire chi sia davvero e che fine abbia fatto l'uomo che era suo padre; dall'altro, il dramma di una famiglia che si è chiusa attorno ai bisogni speciali di uno dei suoi membri più fragili, sviluppando meccanismi molto complessi per rapportarsi con lui e per posporre i bisogni - anch'essi più o meno speciali per la loro diversa natura - di tutti gli altri.
Ho lasciato che "Io sono qui" - in originale "Happiness Falls" - mi parlasse a diversi livelli, in alcuni momenti stratificati, per assorbire una storia che, ancora adesso, mi ritorna in mente a ondate.
La lingua costituisce un punto focale di questo romanzo, a mio avviso, e la traduzione di Arianna Mandorino rende giustizia al legame tra il linguaggio e i personaggi, così come l'aveva pensato l'autrice. «È un libro sul linguaggio - racconta infatti Angie Kim nell'intervista collegata al libro (che si può vedere grazie al codice QR posto alla fine, un tocco che caratterizza Heloola fin dal principio) -, sull'evoluzione della lingua, sia che si tratti di una lingua straniera, sia che si tratti di sviluppare cognitivamente una lingua propria».
Hannah Park, per esempio, ha un dottorato in linguistica applicata, come reazione al suo essere una bambina emigrata che non parlava inglese e che si trovava intrappolata in un mondo dove non poteva esprimere quello che era e che sentiva; Eugene non comunica, per lui le normali regole del linguaggio non funzionano, quindi deve inventare un mezzo nuovo; Mia usa una lingua molto tagliente, cinica, scattante nella parola come lo è nel pensiero, nel suo caso il collegamento tra linguaggio e intelligenza è una strada a senso unico ed è la sua lingua, onnisciente, profonda, a guidarci attraverso le diverse tensioni del libro.
«Questo non è un libro su una persona scomparsa» ribadisce Kim, riprendendo quello che viene più volte detto nel romanzo: quando sparisce una persona non si sa mai esattamente cosa sia successo e così succede anche in questa storia.
Quello che si sa per certo, invece, è che il primo romanzo pubblicato da Heloola è un grande libro, da leggere, rileggere e consigliare.
Io ve lo consiglio, senza dubbio.
«Per alcuni di noi, la premessa che la felicità sia il fine ultimo della vita è del tutto sbagliata.»
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