Recensione: L'orologiaio di Brest di Maurizio de Giovanni


«Perché se ti strappano l'esistenza quando ancora non sei nemmeno nata, il sangue non si asciuga. Non si asciuga mai.»

La maestria di un autore, secondo me, risiede nella capacità di rinnovare l'interesse e la sorpresa nei suoi lettori abituali.
Se siete su questi schermi da qualche tempo, sapete bene che sono una lettrice abituale e appassionata di ogni cosa abbia mai scritto Maurizio de Giovanni, quindi non sarete sorpresi nell'apprendere che anche il suo nuovo lavoro, "L'orologiaio di Brest", uscito ieri per Feltrinelli, è arrivato tra le mie letture - in anteprima, per giunta! - per potervene parlare il prima possibile.

«Volevo una storia nuova, qualcosa che non avevo mai scritto per pubblicare con una nuova casa editrice - ha confessato De Giovanni nel corso di un incontro esclusivo -. Gli anni '80 sono un'epoca che ho sempre voluto raccontare, perché mi sono reso conto che è difficile far capire alle nuove generazioni quello che succedeva in quegli anni: gli ideali, la lotta armata, gli attentati».

Pur partendo dai giorni nostri, infatti, "L'orologiaio di Brest" racconta una storia accaduta quarant'anni fa, negli anni di piombo della Storia italiana, con strascichi che hanno conseguenze nelle vite attuali dei protagonisti.
Vera Coen è una giornalista che, oltre a condurre le normali inchieste della sua professione, da anni porta avanti una sua personale indagine: scoprire chi ha ucciso suo padre Marco, poliziotto, una domenica di maggio del 1984, facendolo saltare in aria insieme all'auto che guidava e che aveva a bordo anche il magistrato Giovanni Contini. Anni di documenti visionati, di foto, di dossier su arresti infruttuosi. Niente.
Per questo, a tutta prima, non riusciamo a capire che collegamento possa avere col professor Andrea Malchiodi, ordinario di Storia medievale all'università, attualmente alle prese con uno scandalo infondato che gli ha fatto vacillare la carriera e collassare il matrimonio.
Perché Vera segue ossessivamente Andrea?

Andrea è cresciuto solo con la madre, ha ottenuto ottimi risultati accademici e sportivi, è un bell'uomo, ama la sua vita così com'è, ordinata e piena di abitudini rassicuranti. Quando lo scandalo ingiusto lo travolge, si trova completamente in balia degli eventi, come se un'ondata lo avesse travolto all'improvviso, e quando si ritira, si ritrova da solo a fare i conti con le macerie.
Nel momento in cui Vera lo avvicina e gli rivela che hanno una storia in comune, Andrea è convinto di lasciarsi tutto alle spalle con un rifiuto netto, sia della verità sia della realtà, e di ritornare nel suo bozzolo già fortemente danneggiato. Questa volta, però, non potrà tornare indietro.

«Che cosa progettavamo, amore, tu e io? Di diventare una famiglia normale? Che io indossassi la cravatta e andassi a prendere ordini da un plutocrate bastardo, per un'elemosina che ci consentisse di mettere insieme il pranzo con la cena?»

Il tempo, grande protagonista di questo romanzo, non ha curato alcuna ferita, anzi. Il dolore del sangue versato nel passato è diventato un memento per la ricerca incessante della verità nel presente.
Un altro grande tema de "L'orologiaio di Brest" è il rapporto padre/figlio: abbiamo due adulti cresciuti senza padre, la cui figura hanno idealizzato in una maniera o l'altra, ma che non hanno mai potuto mettere da parte.

Ambientato in diverse città, che non vengono mai nominate se non attraverso alcuni dettagli - fatta eccezione per quella nel titolo, ovviamente, ma che pure non compare mai nel testo -, il romanzo è portatore di un'atmosfera che richiama i polar francesi, ma anche Georges Simenon e, come omaggio, anche Andrea Camilleri.
E poi c'è l'orologiaio, un uomo che ha sacrificato la sua vita per amore, un amore inaspettatamente immenso, indimenticabile.
Datemi ascolto: mettete da parte la normale ritrosia di fronte alla logica di certe scelte etiche e morali, e guardate questo personaggio nel suo insieme, vi incanterà.

«Mi rendevo conto che io stesso non ero che un vecchio orologio rotto. Fermo a un'ora che non esisteva più: il sogno di una rivoluzione folle che il mondo stesso non voleva.»

Un romanzo cupo, nero per quanto possano essere neri certi segreti, ma pieno di un desiderio bruciante di verità e di futuro, perché le due cose sono consequenziali per Vera e, forse da un certo momento in poi, anche per Andrea.
Maurizio de Giovanni ci regala una pagina di passato che, come una fotografia dimenticata, rivela più di quanto ci saremmo mai aspettati. Perché il passato di Andrea e Vera è dolorosamente presente, un tassello che mescola le carte di tutto quello che avevano creduto vero fino a quel momento.
«Mi piaceva l'idea di queste vite finte, perfettamente costruite, che possono sgretolarsi con un soffio di vento» ha affermato l'autore, e l'effetto è davvero devastante.

"L'orologiaio di Brest" è l'inizio di una nuova avventura per De Giovanni - un dittico, secondo le intenzioni dell'autore - e anche per i suoi lettori, alle prese con un nuovo modo di narrare la Storia e di porsi questioni che, probabilmente, non richiedono una risposta ma sono la chiave per riflessioni ricche d'emozione.

«Un orologio rotto, ecco cosa sono. Un meccanismo stanco che non ha più voglia di essere riparato.»


[libro in anteprima omaggio della casa editrice]
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