Gli scrittori ebrei americani: la generazione post-Shoa narra il dolore di tutto il popolo ebraico



Parlare di letteratura, ascrivendola ad una precisa area geografica, è sempre un azzardo. Quando si prende in considerazione il vasto territorio delle Americhe, parlare di letteratura americana, anche riferendosi solo all’area nord, non si può ritenere una definizione soddisfacente.

All’interno della compagine di scrittori nord americani c’è un gruppo. Non piccolo, forse neanche tanto nascosto, di certo con una voce alta e squillante: gli scrittori ebrei americani. Mentre i comuni mortali si limitano ad inorridire di fronte al ricordo di quegli orrori, gli scrittori che hanno vissuto, o evitato, quella strage universale hanno veicolato i loro sentimenti attraverso la penna.
La generazione di scrittori ebrei post-Shoa ha preso spesso due direzioni divergenti nei confronti dello sterminio del proprio popolo. Ci sono stati quelli che, fuggiti in America, hanno sentito addosso la vergogna di non aver condiviso il dolore della propria gente. Un dolore troppo recente che, nonostante tutto, era lì, dentro di loro. L’unico modo era nasconderlo dietro una pungente e deliziosa ironia, il black humour che poi avrebbe caratterizzato anche la maggior parte del cinema di Woody Allen.

Bernard Malamud, considerato da molti critici il più grande scrittore di racconti di tutti i tempi, nonché ottimo anche nelle prove più lunghe dei romanzi, non fa mistero delle sue origini, eppure ridicolizza, schiaccia l’omuncolo ebreo, fino alla fine in cui non potrà fare altro che riconoscerlo dentro di sé come uno specchio della sua stessa coscienza (Tutti i racconti, Einaudi. Il commesso, Einaudi. Il migliore, Minimum Fax). L’ebreo che si allontana terrorizzato dall’inferno dell’Europa e guarda ai suoi “fratelli” con orrore, per poi riconoscere dentro di sé quegli stessi occhi spauriti sul volto smagrito che va incontro alla morte. Un Malamud che non riesce a parlare apertamente dello sterminio e mette la rassegnazione di tutto un popolo nelle parole pronunciate da un profetico, quanto riconoscibilissimo perseguitato e poi brutalmente ucciso, Uccello Ebreo (dell’omonimo racconto): la componente surreale di certo aiuta l’autore a tratteggiare l’indignazione e la sofferenza, senza doversi avventare a pronunciare la parola che tutto il mondo ha vergogna anche solo a pensare, Shoah.

Diversa è invece la corrente a cui fa capo Cynthia Ozyck, scrittrice nata negli States, quindi già fuori dal senso di colpa e di responsabilità che gli scampati sentivano sulla propria pelle. I protagonisti delle sue opere sono dei sopravvissuti ai campi di sterminio. L’orrore prende voce apertamente, delineando le conseguenze nella vita di quelli che gli erano sfuggiti. Ne Lo Scialle (Feltrinelli) le protagoniste, Rosa e Stella, si aggirano quasi come fantasmi nella società americana che, pur avendole accolte, non le integra del tutto nei suoi meccanismi, altrettanto alienanti quanto i ricordi che gli riportano alla mente antichi splendori.

Insieme a Malamud, padre della letteratura ebreo-americana, Saul Bellow si è trovato anche lui a fronteggiare il dilemma di essere un ebreo in terra americana, di portare sulle spalle il peso del dolore del proprio popolo e, allo stesso tempo, di volersi amalgamare con la società dei vincitori. La condizione di emigrante negli Stati Uniti, unita al rapporto tra cultura e lingua degli avi, traspaiono nei suoi romanzi in cui il superomismo americano è contrastato da un’abulia che va al di là di qualsiasi definizione geografica.

È fatta di sottili dilemmi morali, l’atmosfera che intinge i racconti del più attuale Todd Hasak-Lowy (Non parliamo la stessa lingua e Prigionieri, entrambi per la Minimum Fax), laddove l’ebreo americano è entrato pienamente a far parte della società americana e va a scontrarsi con le fobie e le piccole manie degli ebrei che non si sono staccati dalla patria d’origine.

E poi ancora Singer, Roth e gli altri, diversi modi per elaborare il dolore di un intero popolo e per scendere a patti con la sopravvivenza.



P.S.: Ho riproposto questo mio post di qualche anno fa [on line lo trovate, ancora per poco credo, anche sulla pagina di Yabooks] perchè gli sono molto affezionata ed era tempo che ritornasse a me, in qualche modo. I miei studi sugli scrittori ebrei americani si sono un pò fermati, ma prossimamente ci sarà qualche novità, ve lo prometto!

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