Recensione: Per grazia ricevuta di Valeria Parrella


«Mai avrei voluto questo per me. Io voglio scenate, e porte sbattute. E fughe senza ritorno. Voglio atti unici con finali a effetto, verità urlate in faccia. Sesso per l'ultima volta a farsi male. Voglio disperarmi perché l'amore non era finito. Ce n'era ancora da grattare sul fondo. Voglio mille volte essere lasciata, abbandonata, il mio posto di un'altra.»

La potenza di una storia si può mostrare anche in poche parole, pochissime pagine che, forse proprio grazie a quella brevità, hanno la forza di una detonazione.
"Per grazia ricevuta"[Beat] è una raccolta di racconti in cui Valeria Parrella dà voce a personaggi e a storie che hanno in sé un'anima immensa.

Pubblicato per la prima volta nel 2005 da Minimum Fax (e nel 2010 da Beat) dopo il successo di "Mosca più balena" e candidato al Premio Strega di quell'anno, "Per grazia ricevuta" è il secondo libro di Parrella ma sono già presenti tutti gli elementi che faranno parte fin da subito dell'universo letterario dell'autrice: una Napoli non convenzionale, fuori da ogni cartolina e folklore, che genera storie che potremmo ascoltare all'angolo di un vicolo o dal balcone di una vicina di casa, sfuggite alla trama del tessuto sociale e giunte fumanti di passione sotto gli occhi del lettore.

«Davanti allo specchio si copriva la faccia con le mani lasciando appena lo spazio tra le dita per continuare a guardarsi, per non perdersi, e sorrideva come chi ha capito e si vergogna, come chi ha fatto quello che non doveva e già si è perdonato.»

La raccolta è composta da quattro racconti - La corsa, Siddarta, L'amico immaginato e P.G.R. - in cui, senza usare mai il dialetto, Napoli è presente nella musicalità di certi dialoghi, nell'uso dei pronomi messi in maniera "carnale" per rendere un'intonazione che, vi confesso, sento risuonare nella testa e nel cuore.

Non saprei scegliere quale sia il mio preferito perché in ognuno, fosse anche solo per un'immagine che mi ha richiamato alla memoria, ho sentito un pezzo di cuore battere più forte.
All'amarezza, al disincanto, alla disillusione più feroce fa eco una speranza - una speranzella - che spunta quando meno ce lo aspettiamo, in un sorriso a mezza bocca che ci fa rivalutare tutto il colore del racconto.
I personaggi hanno un modo di guardare il mondo, di taglio, senza fidarsi mai del tutto, in cui ho riconosciuto Napoli, e quella familiarità mi ha reso caro ogni racconto.

«Il punto in cui chiudeva gli occhi e si assopiva senza colpa, perché quel mondo che si muoveva attorno lo reggeva lei con i suoi occhi, lasciandoli aperti, e il pomeriggio della domenica li riusciva a chiudere con la promessa che il mondo se la sarebbe cavata da solo.»


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