Recensione: L'invenzione di noi due di Matteo Bussola


«Ci eravamo detti per sempre, ora non riusciva nemmeno a guardarmi. Io, invece, di guardala non avevo smesso mai.»

L'amore, come il fuoco, più arde e più rischia di consumarsi in fretta. Ma chi decide la grandezza di un sentimento? E cosa si fa con le ceneri di un incendio che ci ha cambiato la vita?
Se lo chiede anche Milo, il protagonista di "L'invenzione di noi due" di Matteo Bussola [Einaudi], quando inizia a scrivere a sua moglie Nadia dopo che tra loro si è creata una distanza incolmabile.

La loro storia d'amore ha dell'incredibile, eppure dopo quindici anni di quell'ardore sembra essere rimasto poco o niente: Nadia non parla più con Milo, non gli racconta niente di sé, non lo ascolta e non lo desidera più, avvolta in una coltre di nebbia dei sentimenti in cui Milo si perde ogni volta che la incrocia in casa.
Lui, che la guarda ancora come se fosse l'unica luce nella stanza, si sente ferito dall'indifferenza e non riesce a capire come siano arrivati a quel punto.

«Eravamo rimasti orfani d'amore così a lungo, che avere la possibilità di relazionarci intimamente con qualcuno, anche solo attraverso le parole, era risalire in superficie dopo una lunga apnea.»

Una relazione che faceva invidia al mondo diventa la copia di mille altri fallimenti sentimentali.
Chi ha amato così tanto non può lasciar perdere, per questo Milo un giorno scrive a Nadia fingendosi un altro, sicuro che lei non risponderà mai. Quando gli arriva la sua risposta, invece, prova una ingestibile gelosia verso quello che, in fin dei conti, non è altro che un alter ego di sé stesso. Perché Nadia a quello sconosciuto confida cose che a lui non ha il coraggio di dire?

«All'inizio ci eravamo sentiti quasi dei predestinati, la marea che vedevamo sommergere gli altri non avrebbe mai dovuto raggiungerci. E poi, lentamente, ci raggiunse.»

"L'invenzione di noi due" è una storia tenera e feroce, che in alcuni brani è stata capace di strapparmi letteralmente la carne e mi sono ritrovata a piangere per un dolore che non era mio.
Perché Matteo Bussola questo fa, denuda sotto i nostri occhi i sentimenti e le paure più intime di un uomo, lasciandolo senza pelle di fronte ai nostri occhi (umidi) e noi non sappiamo dove guardare, vorremmo fuggire ma continuiamo a stargli vicino per vedere se riuscirà a raccogliere tutta la cenere di quell'amore, prima che il vento della dimenticanza lo soffi via.

Uscito a maggio 2020, questo libro mi ha emozionato, per qualcosa che va al di là della storia d'amore in sé: è la scrittura di Bussola a essere toccante senza mai cadere nel patetico, anche quando la circostanza magari lo richiederebbe, ed è in una certa tenerezza verso sé stessi che è facile riconoscersi, anche se non si è mai stati in una situazione del genere.

La scelta delle parole - il valore più grande di questo libro, a parer mio - sottende una cesellatura dei sentimenti che si vogliono trasmettere, così che arrivino al lettore esattamente nella maniera in cui erano nell'animo dell'autore.
Il risultato è una raccolta di polaroid nostalgiche ed efficacissime a tenerci incollati alle pagine, mescolando realtà e immaginazione.

In attesa del nuovo libro, "Il tempo di tornare a casa", in uscita il 23 novembre sempre per Einaudi, se non lo avete ancora fatto, leggete la storia di Milo e Nadia e lasciatevi graffiare il cuore perché, in questo caso, vi farà bene.


«Perché le parole sono azioni e fanno succedere le cose. E perché le parole, una volta pronunciate, esistono.»

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