Recensione: La promessa di Damon Galgut


«Le persone non sempre prendono quello che dài loro. Non tutte le possibilità sono opportunità. A volte una possibilità è solo una perdita di tempo.
Sì, dice. Ma una promessa è una promessa.»

La famiglia potrebbe essere idealmente un albero, con gli antenati come radici, i componenti presenti come tronco e le future generazioni che fanno da rami rivolti al cielo. Non c'è bisogno di avere nozioni di botanica per rendersi conto che se qualcosa va storto nelle fondamenta, difficilmente la pianta crescerà sana e forte.
Nella famiglia Swart, la protagonista de "La promessa" di Damon Galgut [Edizioni e/o], una promessa non mantenuta diventa il parassita che, dalla madre in punto di morte, corrode anche il destino dei tre figli.

«Casa significava solo una Cosa, non una tempesta di cose in guerra.»

Quando Rachel muore, la famiglia Swart si riunisce nella fattoria: i tre figli Anton, Astrid e Amor e il marito Manie, la zia tannie Marina e lo zio Ockie, la domestica Salome, ognuno di loro è portatore di un mondo che improvvisamente collide contro gli altri, senza sforzarsi di trovare un punto di contatto che non sia doloroso.

Nel dolore per la perdita, Amor confessa di aver ascoltato una conversazione tra la madre sul letto di morte e il padre, in cui la donna gli strappava la promessa di donare a Salome la casa dove la domestica vive da tutta la vita. Da quel momento in poi - da quando il padre cerca di zittire quelli che giudica come i deliri di una bambina diventata strana da quando è stata colpita da un fulmine - l'armonia è guastata, si perde l'equilibrio (apparente?) che fino a quel momento ha tenuto insieme la famiglia Swart.

Anton era considerato un giovane dalle brillanti prospettive, ma da quel momento non troverà più un orizzonte verso cui dirigere la sua vita.
Astrid aveva fatto della bellezza uno scudo dietro cui nascondere le sue debolezze e quando il suo splendore di reginetta del ballo si appanna, anche lei inizia a vedere meno chiaramente la strada che sta percorrendo.
Amor porta addosso il peso di una colpa che non è sua e, in funzione di questo peso, affossa la sua vita in sofferenze che spengono in lei qualsiasi scintilla.

Tutt'attorno, il padre, gli zii, il pastore, i domestici e le comparse a costruire la cronologia politica e sociale del Sudafrica nel corso di trent'anni - descritti attraverso quattro funerali - in cui cambiano molte cose, ma si acquisisce anche la consapevolezza che molte non cambieranno mai.

«Di amore non ne è rimasto, solo gentilezza, che forse è più forte. Comunque più durevole.»

"La promessa" è il libro con cui Damon Galgut ha vinto il Booker Prize 2021 e ci offre un'opera in cui l'importanza della storia assume grandezza anche grazie allo stile ironico e sorprendentemente distaccato dell'autore. La sua voce entra e esce dal coro dei narratori, come se planasse dall'alto mentre i personaggi agiscono e intervenisse quando la lettura dei loro pensieri non gli è più sufficiente.

Fin dalle prime pagine, questo romanzo mi ha catturato con un'atmosfera non usuale per le mie letture ma estremamente affascinante: la storia dell'Africa - che poi è un milione di storie - è risultata appassionante, soprattutto letta attraverso la lente dell'umorismo pungente di Galgut.

"La promessa" è un grande romanzo con una storia grande, immensa nel senso di smarrimento e speranza, non si vede una fine come i cieli nelle immense distese africane.
Un libro sicuramente da leggere, che ha inaugurato ottimamente il mio anno di letture.

«Chi può dire dove vanno le parole?
Guarda le parole volare, attraverso la porta della stanza, lungo il corridoio, fuori dalla finestra. Guardale salire sulla città e farsi strada in un piccolo gregge a forma di salmo verso la fattoria, alla ricerca della donna cui sono cantate, Girano intorno alla koppie e si tuffano nel prato, entrano in casa dalla porta sul retro e attraversano la cucina su gambe rette da trampoli, come un cambiamento di luce.»


Commenti