Recensione: Un animale selvaggio di Joël Dicker


«Bisogna diffidare degli animali feriti. È il momento in cui sono più pericolosi.»

Se mai doveste aver paura dei libri corposi, io vi consiglio di posare gli occhi sui titoli di Joël Dicker e, in particolare, su "Un animale selvaggio", la sua ultima pubblicazione in ordine di tempo, anche questa, come le altre, edita in Italia da La nave di Teseo.

Siamo a Ginevra e Dicker ci avverte che la storia prende le mosse da un fatto di cronaca realmente accaduto.
Sophie e Arpad Braun vivono nell'elegante comune di Cologny, poco distante da Ginevra. Hanno una casa che, architettonicamente, rispecchia la loro avvenenza: sono giovani, ricchi, attraenti e la loro famiglia, di cui fanno parte anche i due figli piccoli, sembra uscita da un catalogo. Una mattina Sophie sta bevendo il suo caffè in cucina e, guardando il bosco attraverso la parete vetrata, ha la sensazione che qualcuno la stia osservando. Dà immediatamente l'allarme e suo marito avverte la polizia.
Il loro vicino, Greg, è appunto un poliziotto e, quando viene a sapere dell'accaduto, si offre di dare un'occhiata nei dintorni mentre porta fuori il cane.
Da quel momento in poi il mondo da favola di Sophie e Arpad sembra andare in pezzi e, pagina dopo pagina, i segreti che costituivano le fondamenta della loro vita si sgretolano lasciando scheletri dappertutto.

Il fatto di cronaca che l'autore usa come starter per questa storia, è una rapina in una nota e blindatissima gioielleria di Ginevra.
Il lettore, all'inizio, non riesce a capire come si collocherà questo crimine all'interno della trama. In fin dei conti, stiamo parlando di una coppia di successo - Arpad è banchiere e Sophie avvocato -, che vive in un quartiere di lusso, che guida auto costose. A meno che i ladri non entrino in casa loro, non si capisce chi e perché debba progettare una rapina.

È qui che entra in scena la genialità di Dicker che, non a caso, è uno scrittore da bestseller che ha firmato il libro francofono più famoso e venduto di tutti i tempi, La verità sul caso Harry Quebert. Cosa fa l'autore per scalfire la nostra idea iniziale? Un'operazione molto semplice ma che richiede una certa abilità nei modi: inizia a zoomare sempre più sui personaggi e quelle superfici che a una prima occhiata sembravano lucide e preziose, si rivelano ben più grezze di quanto ci saremmo aspettati all'inizio.

"Un animale selvaggio" - tradotto in italiano da Milena Zemira Ciccimarra - è un page turner eccezionale: ogni capitolo ci porta immancabilmente a quello successivo e non riusciamo a concepire un motivo per metterlo giù, se non all'ultima pagina, dove ci aspettiamo di trovare la soluzione a tutti gli enigmi. Ma sarà davvero così?

Il mio primo Dicker è stato "L'enigma della camera 622" e, a ben guardare, non ero avvezza alla spettacolarità delle sue trovate. Ora, però, ho imparato a riconoscere alcuni tratti che gli sono propri: i colpi di scena da capogiro; l'andare sempre oltre la superficie; lo sguardo attento e libero da qualsiasi pregiudizio nei confronti di qualsiasi stereotipo, letterario o meno; stupire sempre, a ogni costo; ma soprattutto, intrattenere.

Perché, se qualche debole voce di critica si è alzata contro questo autore che non sembra sbagliare un colpo, è stato per avvertirci che abbiamo tra le mani un libro d'intrattenimento, commerciale, confezionato per diventare un bestseller - ben vengano più bestseller così, aggiungerei io! - e quindi di poco valore. Eppure, la migliore letteratura è fatta puramente per intrattenere, e se qualche insegnamento ne ha voluto mai trarre un lettore, è sempre stato solo a carico suo.
Se vogliamo metterla così, cosa insegnano, dunque, i libri di Joël Dicker?
A parere mio, se il lettore vorrà trarne un insegnamento, sarà quello che la buona scrittura riesce a intrattenere, sempre.


[libro omaggio della casa editrice]





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