Recensione: Aglio, olio e assassino di Pino Imperatore


Napoli nel mondo, spesso e volentieri è vista solo come la città del sole (e della spazzatura), della pizza, dei mandolini (e delle stese in stile Gomorra).
Da napoletana, non trovo le parole per descrivere l'infinito universo che questa città racchiude, ma se proprio volessi far incuriosire uno straniero, gli chiederei di scegliere un qualsiasi angolo e lo sfiderei a non trovarvi un'opera d'arte che toglie il fiato.

È proprio un'opera d'arte al centro dei delitti che costituiscono la trama di "Aglio, olio e assassino" di Pino Imperatore [DeA Planeta]. Nel giallo ambientato interamente a Napoli, la credenza popolare si mescola alla tradizione, senza dimenticare un pizzico di superstizione e una buona spolverata di umorismo.

L'ispettore Gianni Scapece è da poco tornato a Napoli dopo anni di onorato servizio in giro per l'Italia. A Mergellina, a due passi da casa sua, è stato aperto un nuovo commissariato e lui viene assegnato proprio lì, con l'occasione di rivivere i luoghi dove è nato. Di fronte al commissariato c'è la Premiata Trattoria Parthenope, di proprietà di don Ciccio Vitiello che adesso si è autonominato sovrintendente per lasciare un po' più di spazio a suo figlio Peppe, detto Braciola per la stazza enorme e per la buona forchetta. Gianni inizia da subito a frequentare la trattoria e con i Vitiello nasce un'intesa che va ben oltre il rapporto tra cliente e ristoratore. Soprattutto quando la famiglia, esperta di arte culinaria, lo aiuterà a dipanare il mistero legato a uno spietato assassino che, dopo aver ucciso brutalmente le sue vittime, le condisce con aglio, olio e peperoncino.

L'ispettore inizia così un viaggio nei significati reconditi dei maggiori piatti della tradizione napoletana - il peperoncino, ad esempio, è purificatore nei confronti del malocchio e del male in generale -, e l'indagine lo porterà a comprendere anche i significati esoterici nascosti in alcune opere d'arte esposte nelle chiese napoletane.

Pino Imperatore è una vecchia conoscenza: il suo "Benvenuti in casa Esposito" è uno dei miei libri preferiti - uno di quelli a cui sono più affezionata - perché, pur strappando un sorriso per le avventure tragicomiche di questa famiglia napoletana, riesce a far riflettere sulla camorra in maniera del tutto diversa da quella a cui ci hanno abituato le cronache e altri testi pubblicati.
Stavolta l'autore costruisce un giallo perfettamente calibrato, sia nel ritmo che nei dettagli estremamente precisi delle opere d'arte, delle tradizioni e della città.
Nulla è lasciato al caso, sebbene nel linguaggio comune spesso si alluda all'aglio, olio e peperoncino per sottolineare l'estrema facilità di risoluzione di una situazione: in "Aglio, olio e assassino" non sarà facile scoprire il killer, né le motivazioni, se non quando ve le troverete di fronte, perfettamente impiattate e servite dall'autore.
Non pensate, però, che la verve umoristica di Pino si sia imbrunita nell'animo oscuro dell'assassino. Al contrario, dopo le ombre dei ragionamenti criminali, rifulge ancora più splendente la vitalità della famiglia Vitiello e di quelli che, pur coinvolti da una certa serietà, non riescono a nascondere l'estro esuberante di una battuta o di una situazione comica.

Leggete "Aglio, olio e assassino" se avete voglia di un libro ben scritto, con una storia costruita ad arte che vi faccia anche ridere quando meno ve lo aspettate. Leggetelo anche se avete semplicemente voglia di farvi un giro a Napoli, per non lasciarvi sopraffare dai pregiudizi e avere la mente aperta alla bellezza, in qualsiasi forma d'arte essa si manifesti.

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