Recensione: Come belve feroci di Giuse Alemanno



Ci sono libri che volontariamente non avrei mai scelto, perché trattano argomenti non facili, di non facile interpretazione e di ancor meno facile lettura. Tuttavia, questi libri sono arrivati a me - in questo caso, grazie a un ufficio stampa dall’occhio fino - e mi hanno raccontato storie che mi hanno colpito.
“Come belve feroci” di Giuse Alemanno [LasVegas edizioni] è un libro asciutto, duro, impietoso nella narrazione, ma che ha una storia da raccontare. Come ho premesso, fa parte di quei libri che non avrei scelto di mia sponte: la malavita, la ‘Ndrangheta, la violenza, troppa realtà forse per una nata e cresciuta al Sud ma con negli occhi troppa letteratura per volersi guardare veramente attorno.
Eppure questo libro mi ha preso. Confesso che in alcuni momenti la tensione mi ha fatto interrompere la lettura, ma immancabilmente poi quelle pagine mi hanno richiamato a sé.

Siamo a Oppido Messapico, in Puglia, e Paolo Sarmenta e sua mogie Enza vengono uccisi brutalmente nel loro casolare da Costantino Ròchira e i suoi compari. Per puro caso, l'unico superstite è il figlio Massimo che, con lo zio Vittorio, riesce a vendicarsi, anche se solo in parte, del delitto. Ròchira, però, riesce a scappare e per Vittorio, insieme a sua moglie Mimma e a suo figlio Santo, portando con sé il nipote Massimo, il paese diventa terra bruciata. Deve quindi riparare altrove. Questo altrove è la Val Camonica, dove un vecchio amico di galera sta facendo i soldi con i suoi traffici. Ma le montagne camune sono davvero così tranquille come sembrano? E Massimo, così tranquillo e mingherlino, perché era chiamato "mattanza" dal suo stesso padre?

Il paesino pugliese dove nasce il desiderio di vendetta dei Sarmenta non esiste sulle carte geografiche, ma gli equilibri che vi si mettono in atto sono molto comuni all'interno di contesti dove la criminalità organizzata è diventata sistema di vita. Forse, però, i veri protagonisti di questo romanzo sono la vendetta e il desiderio di denaro, due sentimenti animali che annullano la coscienza di tutti quelli che ne vengono toccati rendendoli belve. Come belve feroci, appunto.

Giuse Alemanno scrive frasi nette, taglia chirurgicamente la tensione e, per questo, la rende parossistica. Le scene descritte sono brevi e intervallate dagli altri avvenimenti che succedono nello stesso momento, ma altrove e con altri personaggi. Questa tecnica molto cinematografica contribuisce ad accrescere la velocità del ritmo delle azioni violente, fino al culmine in cui esplode la crudeltà più inaudita. Mi sono sorpresa a leggere a velocità folle queste sequenze per vedere come andava a finire, nel bene o nel male. O meglio, nel male e nel male peggiore. Perché in "Come belve feroci" non esiste bene, non esiste amore - se non in qualche sfumatura - e non c'è nessuna redenzione, per nessuno.

Quindi, non vi sorprendete se alla fine vi troverete a parteggiare per uno o per l'altro personaggio: non ci sono buoni, in questa storia, e i sensi di colpa per aver aspettato la morte di un delinquente per mano di un altro delinquente, vi perseguiteranno anche dopo aver chiuso il libro. Non c'è redenzione nemmeno per il lettore.

L'unico sollievo arriva da un probabile secondo libro in cui, mettendo in piazza tutti i sentimenti più crudeli che possiamo far emergere a livello conscio e inconscio, troveremo le risposte alle domande che ci siamo posti fino all'ultima pagina.

[libro omaggio della casa editrice]



Commenti