Recensione: Come diventai monaca di César Aira


C'è una bambina di sei anni che si trasferisce con i suoi genitori e, nella gioia del momento, suo padre  la porta a mangiare per la prima volta il gelato. Ne ha raccontato meraviglie, del freddo che si scioglie sulla lingua, dei sapori zuccherini e pieni e adesso che quella bambina ha un cono di un coloratissimo rosa fragola tra le mani, sente di stare per deludere suo padre: il gelato non le piace. Anzi, inizia a sentirsi male. La tragedia che avviene dopo è un crescendo di cui si indovina l'orrore nella sua velocità. Ma c'è qualcosa che non va.

C'è un bambino, César, che parla di sé al femminile, ha sei anni e da Coronel Pringles si trasferisce a Rosario. Il bambino ha paura del padre, un uomo passionale e ombroso, che tiene in scacco lui e la madre con un giudicante silenzio. Quel gelato alla fragola è un'occasione che César vuole cogliere per compiacere il genitore, dopo la crescente delusione di essere sotto peso, più basso della sua età, timido, troppo sensibile. Insomma, in quel cono ci sono davvero troppe aspettative.

"Come diventai monaca" di César Aira [Fazi editore] è tutto in quel cono: il calore del primo pomeriggio che rende deserta una cittadina argentina, l'ansia di un bambino che nella sua testa ha la voce di una bambina e sembra che in quel silenzio del padre c'è la consapevolezza del doppio sé del figlio. César Aira ci porta a prendere quel gelato all'inizio quasi per dirci che non ci sarà niente di dolce nel suo racconto.
Non c'è niente, infatti, del rassicurante e dolcemente malinconico realismo magico a cui la letteratura latinoamericana ci ha abituati: in "Come diventai monaca" viene a mancare la carezza dell'elemento inaspettato e inspiegabile che mette a posto le cose a dispetto di qualsivoglia orrore.
La voce della bambina César ci narra di un ineluttabile destino che trama per compiersi senza alcun conto dell'ingenuità dell'infanzia. Anche l'amore della madre si esprime in una secca fatalità un po' distratta, stanca, quasi rassegnata alla stranezza di quel bambino un po' troppo solitario.

«Il dramma cominciò dopo... chissà perché il dramma comincia sempre dopo che è iniziato. La commedia, invece, sembra cominciare prima, addirittura prima dell'inizio.»

Non c'è dolcezza - e non ci sono monache - nella scrittura del romanziere argentino che ha all'attivo più o meno una ottantina di romanzi brevi come questo che mi sono trovata tra le mani, che mi ha catturata in una rete di allucinazioni e fantasie, in situazioni surreali eppure perfettamente coerenti con il racconto, in una serie di sogni dai toni grotteschi dipinti da aggettivi, suoni, dettagli che denotano un certosino lavoro sulla lingua. Immagino che in lingua originale sia una melodia dal ritmo irresistibile, ma anche la traduzione di Raul Schenardi rende perfettamente l'idea della complessità della produzione di Aira, soprattutto nella nota finale che ci svela il mistero su cui si fonda tutto il libro.

«L'inspiegabile. Ciò che è veramente inspiegabile non ha altro santuario che i mezzi di comunicazione di massa.»

Leggete "Come diventai monaca" se avete voglia di un libro diverso, ampio nei significati e nelle idee che vi darà sulla scrittura che torna alla sua funzione più vera, quella di creare mondi paralleli alla realtà.


[libro omaggio della casa editrice]

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