Recensione: Gente per bene di Zoe Whittall



Le conseguenze di un crimine hanno ripercussioni anche su chi quel crimine non lo ha commesso? La risposta è sì, sempre.

In "Gente per bene" di Zoe Whittall [Elleboro editore] sono proprio quelli che non hanno commesso alcun crimine a subire le conseguenze peggiori.

Quando George Woodbury, insegnante modello e marito e padre esemplare, viene arrestato con l'accusa di molestie sessuali su diverse sue studentesse, l'opinione pubblica si divide: c'è chi, come i colleghi della prestigiosa scuola dove insegna, non mette in dubbio neppure per un attimo la sua innocenza, accusando invece le ragazze di presunzione e falsità; altri invece non esitano a sbattere il mostro in prima pagina, passando al microscopio la sua vita e quella della sua famiglia.
Chi ha ragione e chi torto? Alla moglie Joan non importa molto, per lei quello che conta è la pressione a cui la sua famiglia è sottoposta, passando dall'essere i più amati dalla città all'essere dei reietti da bullizzare. Ne soffre soprattutto la figlia Sadie, che frequenta la stessa scuola dove insegna George e che di quella scuola era la reginetta, sia per la bellezza sia per l'indiscussa intelligenza. Andrew, invece, il figlio maggiore che da anni vive e lavora a New York, non sente la discriminazione esterna, ma si preoccupa di mantenere alta la credibilità del padre, di non smettere mai di credere alla sua innocenza. E George? È colpevole o no?

"Gente per bene" è un libro che mantiene la tensione costantemente alta su qualsiasi particolare delle vite dei protagonisti. Ad un certo punto, dopo l'arresto, sembra non succedere niente di eclatante, la narrazione si stabilizza su una frequenza di routine che viene interrotta da piccoli episodi all'apparenza insignificanti, ma che contribuiscono, nel quadro generale, a creare una sequenza di disastri a valanga, fino a toccare il fondo nel finale.

«Non puoi smettere di amare qualcuno in un secondo perché viene accusato di una cosa spregevole. Niente è tutto bianco o tutto nero.»

L'autrice accenna agli atti del processo e alle accuse senza mai andare nel dettaglio e, in alcuni momenti, la frustrazione di non riuscire a saperne qualcosa di più diventa una nota stonata che non sembra stile, ma semplice distrazione o superficialità. Benché la scrittura scorra abbastanza fluida - grazie anche alla traduzione di Alessandra Riccardi - ci sono dei periodi che si inceppano, chissà se a causa del pensiero originale dell'autrice o della traduzione da un'altra lingua.

Quando sono arrivata all'ultima pagina, non credevo che questo libro fosse finito. Ho continuato a cercare qualche informazione in più, ma niente, era proprio la fine. Allora mi sono presa qualche giorno per rifletterci su e quello che mi pareva mancasse al testo, ce l'ho messo io di riflessione.
I crimini della gente per bene vengono valutati diversamente, soprattutto in una società come quella descritta dal libro in cui predominano i bianchi ricchi protestanti. Ma quando la gente può dirsi davvero per bene?

Tutti i personaggi che ruotano attorno a George Woodbury subiscono le conseguenze del suo crimine, tranne lui stesso: tutti cambieranno nel corso della narrazione, tranne lui, e questa credo che sia una trovata geniale dell'autrice.
Sembra che il male risieda in un substrato della società che non ha classe, non viene influenzato dalla posizione sociale o affettiva, non muta di intensità anche quando viene nutrito dai privilegi. 
In "Gente per bene" si compie tutto in maniera ineluttabile - la colpa e la pena - e le conseguenze aleggiano su tutti, come se sui vestiti di sempre si fosse posato uno spesso strato di pulviscolo che altera i colori e la consistenza delle cose. 

Vale la pena leggere questo libro, se avete voglia di riflettere su un argomento dolorosamente attuale, sviscerato secondo le mille alternative dell'animo umano.




[libro omaggio della casa editrice]


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