Recensione: La straniera di Claudia Durastanti



Ci sono libri il cui significato riesco a comprendere solo arrivata all'ultima pagina e oltre.
"La straniera" di Claudia Durastanti [La nave di Teseo] è uno di questi.

Mi sono immersa nella lettura un po' per volta, e durante la migrazione della storia e dei protagonisti dalla Basilicata agli Stati Uniti e ritorno, mi sono lasciata coinvolgere dai mille espedienti per sopravvivere a una povertà senza umiltà né contegno.
Claudia Durastanti racconta la storia della propria famiglia, con i genitori sordi, e i parenti in America per fare fortuna. 
Capitolo dopo capitolo, ricordo dopo ricordo, conosciamo l'indigenza e l'emarginazione dovuta non solo alla disabilità, ma soprattutto alla gestione esosa dei soldi e all'analfabetismo dei sentimenti.


«Quando dormivano a casa dei genitori di lui non rifacevano mai il letto, non sapevano cosa significassero le parole "Ti amo", e quindi non le usavano.»


L'io narrante parla di sé e di quelli che le stanno attorno senza alcuna pietà o concessione alla malattia: gli eccessi e le mancanze dei genitori non vengono giustificati ma narrati come conseguenze di caratteri bizzarri che poco o nulla hanno da imputare ai disagi della sordità, ma che anzi hanno saputo piegare ai propri bisogni anche i pregiudizi esterni. Ne risultano due personaggi potenti, la cui voce si distingue benissimo nei gesti, se non nei suoni.
La protagonista è delineata in maniera schietta, con tutte le paure e i difetti conseguenza di una vita senza molti punti di riferimento: mi è piaciuto molto il confronto con le scelte e i comportamenti del fratello, di poco più grande, che offre la possibilità di immaginare che ci possono essere molteplici reazioni a una stessa condizione critica.

Da Brooklyn dove è nata, alla Basilicata dove ha vissuto, per approdare a Roma e poi a Londra, Claudia Durastanti traccia la mappa del suo sentirsi straniera sempre, come se dentro ci fosse sempre una valigia pronta e un biglietto su cui scrivere la destinazione mentre già si è intrapreso il viaggio.


«Non ho ancora imparato come si vive in una città, non so ancora come attraversarla senza trasformare tutto in un testamento o in un colpo al cuore.»


Arrivata all'ultima pagina, mi sono fermata a riflettere su "La straniera" e ho capito.
Ho capito che la straniera è la protagonista, ma anche la sua vita rispetto alle vite degli altri. Ho capito che straniero è il linguaggio che si instaura all'interno di ogni famiglia, con i loro significati e vissuti. Ho capito che, in fondo, chi non si è sentito straniero almeno una volta, forse non ha mai travalicato i confini di se stesso, e che vita povera deve essere stata.

"La straniera" è un memoir - come è già stato scritto dappertutto - ma io l'ho letto più come un lungo racconto di chi ha voluto finalmente appartenere a qualcosa che non sia distante dalla propria vita e avaro di sentimenti: un libro, nato dai ricordi e dai sogni di una bambina bruna e un po' selvatica, con negli occhi le scintille di tante cose ancora da vedere e da immaginare.


«Straniero è una parola bellissima, se nessuno ti costringe a esserlo; il resto del tempo, è solo il sinonimo di una mutilazione, e un colpo di pistola che ci siamo sparati da soli.»

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