Recensione: Il diner nel deserto di James Anderson



Prendete un uomo con un grosso vuoto emotivo e con un ancor più grande carico di rabbia e desiderio, mettetelo alla guida di un enorme autoarticolato, un camion con rimorchio, e mettete tutto in uno dei deserti più grandi suggestivi, alieni e aspri degli Stati Uniti. Quello che verrà fuori sarà il racconto di una vita con profondità mai immaginate, gran canyon che si spalancano nel petto e rocce rosse che si depositano sull'anima.
Se volete anche il titolo di questo racconto, eccovelo: "Il diner nel deserto" di James Anderson [NN Editore].

«L'autostrada si allungava nel sole di fronte a me. Era mia e ne ero felice. Il fatto che lo fosse perché nessun altro la voleva non mi infastidiva. Mentre i freni sibilavano, lanciai un ultimo sguardo al diner, poi rientrai sulla 117 e diedi inizio al resto della giornata.»

Ben Jones è il titolare della Ben's Desert Moon Delivery Service, una ditta di consegne su ruote che rifornisce di tutto quello di cui possono aver bisogno gli abitanti di Rockmuse (cittadina immaginaria di un migliaio di abitanti), di Price e di altri piccoli agglomerati urbani dello Utah lungo la strada 117 che passa nel deserto.
È la voce di Ben in prima persona che ci racconta la storia, ed è attraverso di lui che conosciamo i personaggi e anche lui stesso. Ben ha poco meno di quarant'anni, è completamente solo al mondo, dopo essere stato abbandonato dalla madre ed essere stato adottato da un'anziana coppia di mormoni che è morta da diversi anni. Ogni giorno Ben si alza e rimanda indietro la voglia di farsi un cicchetto, dopo anni che non beve più. Si alza e si mette alla guida del suo grosso camion per fare le consegne, ma la vita nel deserto spesso richiede immaginazione per affrontare le avventure che, malgrado tutto, si presentano.

«Come disse John Wayne: La vita è dura. E quando sei stupido è ancora più dura.»

Il Premiato Diner del Deserto è un'isola in mezzo alla pianura riarsa dal sole. A prima vista sembra un'oasi accogliente, con i divani in pelle rossa e i tavoli ben allineati. A ben guardare, però, il diner è sempre chiuso. Se ci si avvicina troppo, ci si potrebbe imbattere nel grugno per nulla amichevole del proprietario, Walt Butterfield, e nessuno è stato così coraggioso da guardarlo una seconda volta.
Ben si ferma quasi ogni giorno a portare ricambi per le motociclette di Walt e in qualche rarissimo caso ha rimediato anche un caffè. Ma perché il diner del deserto è sempre chiuso? Sarà vera la storia di sangue e violenza che si racconta attorno a quel posto?

«Come uomo sei migliore di quanto credi, Ben. Di sicuro migliore di quanto vorresti ammettere.»

Uscito nel 2018, "Il diner nel deserto" è il primo volume della "serie del deserto" firmata da Anderson, che quest'anno si è arricchita del secondo capitolo, "Lullaby Road".
Lo scrittore e poeta americano ha esordito proprio con questo romanzo che è riuscito a regalarmi emozioni indescrivibili: fin dal primo rigo, sono salita come passeggera al fianco di Ben sul suo autoarticolato, ho bevuto con lui il caffè e spiluccato tramezzini mentre il nastro di asfalto si srotolava sotto le ruote quasi fuse dal caldo. Attraverso il parabrezza del camion mi sono lasciata sorprendere dai paesaggi quasi marziani, mi sono spaventata per la violenza inaspettata di certe reazioni umane, ho fatto il tifo per quel granello di amore che pure ha attecchito in tanta aridità.

All'ultima pagina, ho capito che non avrei resistito molto prima di leggere il seguito e solo questo pensiero ha placato un po' lo strappo doloroso per la mancanza di Ben e delle sue inaspettate tenerezze.




[libro omaggio della casa editrice]

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