«Questo è il luogo in cui la morte si diletta nell'aiutare la vita.»
Di cosa ha bisogno il terrore per manifestarsi in un racconto?
Me lo chiedo ogni volta che mi trovo a leggere un romanzo come quello di Marina Pierri, "Gotico salentino" appena pubblicato da Einaudi. Ogni volta vuol dire quando ho letto Edgar Allan Poe, Shirley Jackson e ora.
Nel mio immaginario di lettrice, il terrore si manifesta con pochi elementi ben piazzati, capaci di scatenare la mia immaginazione più cupa. Una volta che questo è successo, che nella mia testa di è formato quel grumo freddo e scuro di paura e brividi, è fatta: il libro mi ha conquistata.
Ecco, "Gotico salentino" mi ha pienamente conquistata.
Filomena Quarta è una giornalista che, in seguito alla morte del padre e al fallimento del suo matrimonio, decide di tornare in Puglia, dove è nata e cresciuta, per insediarsi nella villa di famiglia, Dimora Quarta, e trasformarla in un bed&breakfast per sbarcare il lunario.
Sarebbe una buona idea, se non fosse che la casa è infestata. Lo è sempre stata e, a sentire i compaesani, lo sarà sempre.
«La superstizione, dottoressa, è illusione di controllo.»
Filomena rientra tra le mura di quella casa a cui la legano ricordi belli e altri disturbanti, e immediatamente sente ripiombarle addosso il marchio della superstizione, l'etichetta di "stria ca ite li muerti", la bambina che vede i morti. Perché Filomena può negarlo e cercare di dimenticarlo, ma a sei anni la visione della suora fantasma che infesta la casa rovinò la festa di compleanno del nonno, sindaco e notabile di Palude del Salento, paese fondato ed edificato dalla stirpe Quarta. Quell'episodio confermò la maledizione sulla casa e su di lei, che da allora ha cercato di togliersi di dosso la malumbra.
Ora, però, Filomena è tornata a Palude per restarci e quando la fantasima da tutti conosciuta come Orlando Trispét se ne accorge, non può fare altro che manifestarsi. E non solo lei, in effetti.
Filomena, a questo punto, decide di approfittare del suo dono di rievocare le anime dei morti e chiama prima Mary Shelley, su cui vuole scrivere un libro, e poi Shirley Jackson, maestra del genere letterario a cui il racconto della vita a Dimora Quarta si ascrive. Il gotico in Salento potrebbe risultare improbabile, dite? Eppure c'è ed è credibilissimo. Anzi, appassionante, lo conferma proprio Jackson.
Da un classico all'altro, mentre Filomena scrive alla sua psicologa, attorno a lei avviene di tutto: morte e vita, odio e amore, un'amicizia fortissima e nemici nascosti nelle pareti della casa, ogni cosa a Dimora Quarta diventa animato grazie a un'energia fortissima, che attrae o respinge a seconda del momento.
«Gli ultimi sei anni, visti da qui, sono un corridoio angusto attraverso il quale mi sono trascinata come ombra tra le ombre. Mio padre è diventato uno spettro mentre era ancora in vita.»
Marina Pierri è esperta di serie tv, sa come portarci attraverso le stanze di una casa infestata senza farci scappare, anzi, andiamo avanti anche quando sappiamo che non è una mossa saggia. Riesce, con lo stratagemma del racconto epistolare, ad avvincere il lettore mistero dopo mistero, con segreti sussurrati in attesa di venire alla luce, con un fine maneggiamento del genere letterario e con una strizzata d'occhio alla comedy più elegante.
"Gotico salentino" è capace di rovesciare qualsiasi idea avevamo del gotico e delle ombre - molto più umane di quanto ci aspettiamo, in verità -, per parlare di femminismo, di famiglia, di memoria collettiva e di comunità, e regalarci un racconto che difficilmente dimenticheremo.
«Non devo più avere timore di me stessa, né di questo luogo che sono io. È la mia famiglia ed è la mia storia. Ho letto abbastanza racconti del terrore per sapere come funziona.»
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