Recensione: La bambina senza il sorriso di Antonio Menna


«Ti do un consiglio, Perduto. Un consiglio solo: statt' accort'.»

Fare il giornalista a Napoli significa dover fronteggiare situazioni spesso al limite del paradosso, a cominciare dal contratto di assunzione in un giornale. Fare il giornalista di cronaca, poi, può significare una vita di stenti e pericoli che, in molti casi, fanno valutare bene se vale la pena continuare a scrivere. 

Fare il giornalista come lo fa Tony Perduto significa scendere per strada, cercare le notizie e poi tornare a casa a scriverle sperando che il caporedattore sia nella sua giornata buona e gli dia lo spazio che meritano sul giornale. A volte, però, sono le notizie ad andare a bussare alla porta di Tony e lui, anche se di mala voglia, va ad aprire.

«Non sono un lottatore, non sono un guerriero, sono solo un taciturno che vuole guardare il mare dal terrazzo e godersi il vento di marzo.»

Inizia così "La bambina senza il sorriso" di Antonio Menna [Marsilio], con il campanello che suona di mattina presto e Tony, già sveglio ad ascoltare i suoni dei Quartieri Spagnoli, che guarda dallo spioncino e, vedendo una compostissima bambina, fa finta di non essere in casa. Poi spinto dalle parole della piccola che gli chiede di aprire perché ha una cosa importante da dirgli, apre e la lascia entrare.

Per quanto Tony osservi Chiaretta - la bambina si è presentata così - non riesce a capire quale sia la nota stonata nel volto, nel modo di parlare, nell'atteggiamento. Chiara trasmette "il freddo degli adulti", perché - Tony lo capisce di colpo - non sorride mai, sembra priva di qualsiasi leggerezza tipica dei nove anni e parla anche come un adulto quando racconta all'uomo di aver bisogno che lui scriva un articolo sul fatto che suo padre è scomparso mentre passeggiavano nella folla dei Quartieri Spagnoli. Un attimo prima la teneva per mano poi, attratto dalle vasche di pesci di una pescheria affollata, le ha detto di aspettarlo vicino a un muro e dalla folla non è più emerso. La piccola gli lascia anche una foto col volto del padre, lo stesso volto che Tony trova affisso sui volantini che, di lì a poco, sono affissi per tutto il vicolo. 

Come è tipico del suo modo di operare, Tony scende nel vico per sentire la vox populi: i vicini dei bassi, in particolar modo la signora Amalia e don Nicola, i commercianti, gli abitanti del quartiere costituiscono il suo data base da cui recuperare vita, morte e miracoli di chiunque gli interessi. E succede così anche questa volta.

Come in un giro di valzer sempre più vorticoso, Tony parte alla larga, ascoltando, ponendo qualche domanda, prendendo il caffè nel bar giusto, e finisce al centro della scena dove, oltre alle informazioni, rimedia anche un paio di pugni e un occhio nero. 

«Non è vero che qui non si rispettano le leggi. Si osservano quelle dei Quartieri Spagnoli, che a volte coincidono con i codici della Repubblica italiana, a volte no.»

E nel mentre, noi assistiamo alla sua vita fatta di routine, di planning inutili ma necessari, di sua madre che si installa a casa sua e si prende cura di lui, di aperitivi con la sua migliore amica Marinella che, in una notte particolarmente alcolica, lo fa cadere nel suo incredibile sorriso.

La vita di Tony Perduto è una vita a mosaico, con i frammenti della sua professione e dell'insoddisfazione tenuti insieme dai morsi della passione. Una passione per la scrittura che è anche la passione per la sua città, per i suoi abitanti, che Tony osserva cercando di cogliere sempre un nuovo pezzo per arricchire il suo puzzle personale.

«Quando tutta la fatica della giornata si addensa e poi si deposita come un gomitolo di lanugine, e si fa strada la scrittura, sento un cuore nuovo in petto.»

Dopo averlo conosciuto in "Il mistero dell'orso marsicano ucciso come un boss ai Quartieri Spagnoli", è stato bello ritrovare questo personaggio a cui mi ero affezionata molto già in quella prima lettura e che adesso mi ha lasciato addosso il sorriso di aver ritrovato un caro amico che, dopo tempo, ti aggiorna dei fatti della sua vita con un po' di reticenza e, dopo averlo salutato, ti lascia la curiosità di sapere se alla fine si deciderà a fare qualcosa della sua vita.

"La bambina senza il sorriso" è un noir che, mentre cerca di svelare un mistero, ci porta in giro per Napoli, dai Quartieri Spagnoli a Chiaia, passando per l'archeologia industriale di Bagnoli e il mare di Coroglio: lo sguardo di Tony Perduto diventa il nostro e ci sembra addirittura di sentire il profumo di mare mentre ce ne stiamo aggrappati a lui sul suo scooter.

«Con lo scooter attraverso Napoli come un sopravvissuto. Le strade diventano gentili, nel deserto. Sembrano sparite perfino le buche. Gli autobus sono giganti docili. Le pochissime auto viaggiano lente al centro della carreggiata, poi si lasciano superare senza ansie, come se avessero tutto il tempo per arrivare da nessuna parte. Il mare è un panno appoggiato per terra.»

La scrittura di Antonio Menna è essenziale e per questo poetica, ogni parola ha il peso del suo significato e attraverso quello veicola immagini di rara maestria. Per quanto mi siano piaciute le indagini - mai banali o scontate nei loro risvolti -, quello che preferisco sono le riflessioni di Tony, quel suo modo di guardare sé stesso, i suoi difetti e il mondo che lo circonda con lo sguardo di chi non ha illusioni ma continua a credere in un sogno segreto.

Arrivata all'ultima pagina, ho provato la stessa sensazione che mi aveva colto con il precedente libro: la voglia di leggerne ancora, di camminare ancora con lui per le strade di Napoli, di sapere altro sulla vita di questo giornalista affascinante suo malgrado, narratore di storie con una voce tutta sua. A ben guardare, questa è l'unica controindicazione che riesco a trovare in questo romanzo che, per il resto, merita di essere letto tutto d'un fiato.


[libro omaggio della casa editrice]

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