Stoner di John Williams: una riflessione

Immagine di proprietà dell'autrice, tutti i diritti riservati ©

«Può capitare che qualche studente, imbattendosi nel suo nome, si chieda indolente chi fosse, ma di rado la curiosità si spinge oltre la semplice domanda occasionale. I colleghi di Stoner, che dal vivo non l'avevano mai stimato gran che, oggi ne parlano raramente; per i più vecchi il suo nome è il monito della fine che li attende tutti, per i più giovani è soltanto un suono, che non evoca alcun passato o identità particolare cui associare loro stessi o le loro carriere.»

Per tanto, tantissimo tempo, ho guardato la copertina col mezzo volto d'uomo incorniciato dagli occhiali dalla montatura di osso con un po' di diffidenza. Se ne parlava troppo e, quando succede così, non riesco ad avvicinarmi alla storia senza scetticismo. Poi, quasi a sorpresa, un giorno ho comprato il famoso libro e "Stoner" è entrato a far parte della mia libreria.

Nonostante questo, leggevo e rileggevo il nome di John Williams in copertina cercando di trovare l'occasione, ma dovevo solo aspettare. Mi capita spesso coi libri che sono sulla bocca di tutti, ho bisogno di essere chiamata, di essere ispirata da un particolare.

È successo anche stavolta: ho ravvisato l'occasione nell'annuncio che i proprietari dei diritti li hanno venduti a un'altra casa editrice italiana, togliendo a Fazi Editore - la prima, nel 2012, a portare in Italia l'autore americano quasi del tutto dimenticato - uno dei suoi libri iconici. Non si sa ancora chi ripubblicherà Stoner, ma intanto cambierà tutto. Quale migliore momento per leggere un libro che era lì ad aspettarmi pazientemente da tanto tempo?

Sul mio profilo Instagram ho parlato del desiderio di conoscere finalmente questo personaggio di cui tutti non facevano che parlarmi bene e, in breve, si è unito un gruppo di lettrici e lettori appassionati e abbiamo costituito il gruppo di lettura #LeggimiStoner
Chi lo avrebbe mai detto, il mio primo gruppo di lettura per un libro che, per anni, non ho voluto leggere!

«Per William Stoner, invece, il futuro era una certezza fulgida e immutabile. Ai suoi occhi non appariva come un flusso di eventi, mutazioni e potenzialità, ma come un territorio che attendeva solo di essere esplorato.»

Fin dalle prime pagine, mi sono resa conto del valore dell'opera che avevo tra le mani: benché stia raccontando una vita che, come dichiara apertamente, non ha niente di eccezionale, Williams riesce a trasformare attimi di normalità in immagini piene di poesia. 
William Stoner è figlio di contadini che, sperando di incrementare i propri raccolti, lo spingono a studiare Agraria all'università. Presto, però, il ragazzo si rende conto che solo durante le lezioni di letteratura inglese sente scalfirsi la corazza che da sempre ha addosso. Cambia indirizzo e si lancia anima e corpo nello studio della letteratura, della lingua, della poesia: è tutto nuovo per lui, dai libri ai rapporti umani, visto che è cresciuto praticamente isolato da tutto e da tutti.

Williams ce lo descrive con pochi tratti, netti, precisi, lascia fuori ogni emozione per metterci di fronte a questo personaggio nudo, scabro, magro e ruvido, con mani enormi e scurite dal sole di cui si vergogna. È come se l'autore ci togliesse la possibilità di provare simpatia o qualsiasi altro sentimento per lui, eppure, nonostante ciò ogni volta che sfiora Stoner con un pensiero, è emozionante.

Non voglio rivelare troppo della trama, se non quello che è ravvisabile già dalla sinossi: un uomo va all'università, dove poi diventerà professore e dove lavorerà tutta la vita, si sposa, ha una figlia, non si allontana mai dalla città in cui vive, ha solo due amici da quando era studente e non gli interessano i soldi, il successo e la vita sociale. Cosa c'è di raccontabile letterariamente in una vita piatta e desolata?

Ci sono gli spazi tra i minuti di abitudine e solitudine che si riempiono di vita, di emozioni, di sensazioni per quante possano essere umanamente sentite da un uomo che non ha avuto nessun affetto da quando è nato. È in quegli spazi che possono sembrare minimi e invece sono immensi e fondamentali che si instaura la scrittura lirica di John Williams: è come se, nelle descrizioni private di qualsiasi orpello emozionale - sia che stia parlando dell'abbigliamento di Stoner, sia che stia descrivendo la sua prima notte di nozze - Williams si lasciasse andare e liberasse l'amore che prova per il suo personaggio.

«Così Stoner cominciò da dove aveva iniziato, e l'uomo alto, magro e ricurvo che ormai era diventato si sedette in cattedra nella stessa aula dove il ragazzo alto, magro e ricurvo che era stato sedeva dietro a un banco ascoltando le parole che l'avrebbero condotto fin lì.»

"Stoner" è stato pubblicato per la prima volta nel 1965, il terzo romanzo di Williams dopo "Nothing but the night" e "Butcher's Crossing" ma viene presto dimenticato: solo nel 2003 e poi nel 2006 viene riproposto per The New York Review of Books Classics e da lì il passaparola compie la magia.
Al libro succede quello che succede al suo protagonista: è lasciato perdere, messo lì, in balia della polvere del tempo e della labile memoria umana.

La riscoperta, il rinnovato amore per questo romanzo è il riconoscimento di cui avrebbe avuto bisogno anche il personaggio di Stoner, condannato da quelli che lo hanno conosciuto a un'ingiusta damnatio memoriae messa in atto forse per punire la sua indifferenza non solo nei confronti di quello altrui, ma soprattutto del suo stesso ego. 

Mai mi sarei immaginata di trovarmi di fronte a un libro che contiene l'immensità di una vita che, vista dall'esterno, è poca cosa, ma che poi ti resta dentro, ti scava un vuoto che, alla fine, ti porta a tornare immediatamente alla prima pagina per rileggere quell'incipit che sembrava niente e invece già conteneva tutto.

«Poco gli importava che il libro fosse dimenticato e non servisse più a nulla. Perfino il fatto che avesse avuto o meno qualche valore gli sembrava inutile. Non s'illudeva di potersi ritrovare in quel testo, in quei caratteri scoloriti. E tuttavia, sapeva che una piccola parte di lui, che non poteva ignorare, era lì, e vi sarebbe rimasta. Aprì il libro, e mentre lo faceva, il libro smise di essere suo.»


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