Il diritto d'autore e l'originalità: quando si è proprietari della creatività


«Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi.»

Bertolt Brecht


Se non conoscete la polemica del giorno, forse vivete su Marte e forse è meglio così, beati voi.

Non intendevo la polemica del giorno, cioè di oggi, di queste ore, perché ogni giorno, quasi ogni ora, ce n'è una nuova.

Su Twitter, Facebook, Instagram c'è sempre qualcosa che prevede lo schieramento di due fazioni contrarie che combattono strenuamente per prevalere l'una sull'altra.

Solo a leggere, così, mi si rivoltano i pensieri, figuriamoci a trovarcisi in mezzo.


«La polemica è causata dall'ignoranza di tutti i disputanti.»

Ezra Pound


Le grandi cause, così come le giornate internazionali, sono i momenti preferiti dove si affilano i polpastrelli dei combattenti da tastiera: la gara è sul tempo - chi pubblica prima - e sul contenuto - la battuta più arguta, la trovata più originale, alla ricerca della maggiore condivisione possibile.


Se può essere vero che dei grandi argomenti è importante purché se ne parli, questo assioma viene a cadere di fronte al diritto d'autore. Se un disegnatore famoso crea per l'occasione una vignetta arguta e dissacrante, poi arriva l'utente che si crede furbo, taglia la firma e la diffonde come propria, cosa è successo? Un furto in piena regola. Così come diffondere la battuta che abbiamo ammirato tanto da copiare senza citare l'autore. 


L'apoteosi si raggiunge quando, allertato, il disegnatore fa notare al furbo che, effettivamente, quella vignetta è parto della sua creatività, così come testimoniava la firma che prontamente ha tagliato. Il furbone cosa dovrebbe fare? Scusarsi, indubbiamente, e poi, a parere mio, battere la testa in uno spigolo per la stupidità. Cosa fa, invece? Insorge, con una certa supponenza, per giunta, e dice che il disegnatore non è il padrone della causa per cui ha disegnato la vignetta, non è lui il proprietario della giornata internazionale del fagiolo rampicante da serra per cui la sua creatività si era espressa. 

Alla fine, messo alle strette, ribatte che se davvero ha a cuore la causa per cui a disegnato, l'importante è che se ne parli e, quindi, se ne sta parlando. Dovrebbe ringraziarlo, piuttosto, invece di fare il poveraccio a reclamare il suo diritto d'autore.


L'importante è che se ne parli?


Su Instagram ho spesso parlato del diritto d'autore e il discorso vale sia per le foto sia quando si parla dei testi delle didascalie. Viste le tendenze, mi sento di dire che valga anche per le "battaglie" a cui prestiamo sostegno. Parlare di uno stesso argomento, quando ci sta a cuore, non significa copiare, ma va da sé che se usiamo le stesse parole, allora il dubbio della copia sorge. 

E non mi si venga a dire che, essendo talmente  vasta e di portata mondiale, non si è proprietari della causa del momento!


«A me pagano un diritto d'autore per le storie che scrivo, e alla Grecia che ha sparso nel mondo il suo vocabolario, neanche grazie.»

Erri De Luca


A me piacciono gli esempi. Facciamone uno banale ma comprensibile: su Instagram, all'interno della community bookstagrammer, facciamo le foto ai libri che leggiamo. Bene. Spesso leggiamo anche gli stessi libri. Benissimo. E ci capita di citare gli stessi brani dei suddetti libri. Poco male.


Ma se io faccio la foto a questo benedetto libro che un po' tutti stiamo leggendo, mettendo una tazza di caffè a destra con una rosa rossa a sinistra su sfondo chiaro, e mi ritrovo la stessa foto con gli stessi elementi nella stessa posizione, non mi si può dire come giustificazione: "Ma il libro è quello, in quale altro modo avrei potuto fotografarlo?!".


Parliamo degli stessi libri - o delle stesse cause - ma non dovremmo farlo allo stesso modo o, se dovesse capitare, riconoscere il merito della composizione originale a chi l’ha fatta per prima sarebbe buona educazione.


«Il segreto del successo è fare le cose comuni in un modo insolito.»

John D. Rockfeller


La domanda a cui mi trovo a rispondere ogni giorno è: cosa posso apportare di nuovo, in maniera nuova, in questo marasma di contenuti che, col passare del tempo, sono diventati stereotipati?

Nei giorni no, la risposta è niente, ma quando poi raccolgo le idee, mi rendo conto che la novità è sempre e solo il mio modo di fare. Che non è migliore o peggiore o più innovativo rispetto agli altri, ma è assolutamente mio, senza aver copiato nessuno, né nell'aspetto né nei contenuti.


È l'accento, il sorriso, il modo di raccontare le cose,

la passione che metto quando qualcosa mi tocca il cuore.


Perché l'unica cosa che davvero possiamo mandare nel mondo - e che non potranno copiarci mai - è il nostro essere sempre e solo noi stessi, su Instagram come nella vita.

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