Recensione: Che dispiacere. Un'indagine su Bernardo Barigazzi di Paolo Nori



«Barigazzi, Bernardo, di professione scrittore, ha pubblicato diversi romanzi, anche per Einaudi, per Mondadori... no, te non sei un tipo che legge i libri di Barigazzi; allora ascolta, te lo descrivo: è abbastanza alto, avrà quarantacinque anni, ha ancora tutti i suoi capelli neri, secondo me se li tinge, forse, e ha l'aria tipica di chi si sta lasciando andare ma che non ha ancora mollato del tutto gli ormeggi, hai presente?»

Quando leggete un libro, lo fate per il genere a cui appartiene? Siete poi così sicuri che quel genere sia così ben definito e definitivo? E se poi non lo è?
Tenete ben presenti queste domande mentre vi parlo di "Che dispiacere. Un'indagine su Bernardo Barigazzi" di Paolo Nori [Salani], il primo giallo dell'autore tra i più noti del panorama italiano, con Bassotuba non c'è, Grandi ustionati, I russi sono matti e con le sue traduzioni dei più grandi scrittori russi.

Il protagonista, Bernando Barigazzi è uno scrittore che sforna più o meno un libro all'anno di suo pugno e uno lo traduce dal russo, che lui ha studiato russo ed è bene che lo metta in pratica. È vedovo da qualche mese, dopo che sua moglie - che lui non chiama se non Togliatti per il suo carattere un po' duro - è morta investita da un'auto sotto casa loro. Ha una figlia di quindici anni che si chiama Daguntàj, che non è il suo vero nome e non è nemmeno un nome russo ma viene dal dialetto parmigiano - una storia lunga (e divertente!) - perché Barigazzi è parmigiano trapiantato a Bologna.

«Parli così bene, quando stai zitto».
«Te invece, anche quando stai zitta, io non son mica d'accordo, con quei silenzi lì così competitivi» diceva lui. 
Stavano bene, insieme.

Da qualche tempo corteggia con gli sguardi la barista del bar dove va di solito, Marzia, ma per un motivo o per un altro non riescono mai a vedersi per parlare. Oltre allo scrittore, Barigazzi si è messo a fare il giornalista, anche se nessuno lo sa: si firma Ivan Piri e insieme a una amica - che si firma Iris Toranti - dirige il giornale Che dispiacere, un quotidiano che esce solo il giorno dopo la sconfitta della Juventus ed è caratterizzato dall'ironia e dallo spirito sportivo di "Vincere non è importante. È l'unica cosa che conta".

Quando, suo malgrado, Barigazzi viene coinvolto nell'indagine in seguito al ritrovamento del cadavere di un ultrà juventino, la sua copertura salta e non è l'unica cosa a finire a gambe all'aria.

«Lui lo sapeva che se aveva l'impressione che le cose andassero bene, c'era qualcosa che non andava, allora faceva finta d'avere l'impressione che le cose andassero male  he così era tranquillo. Malissimo, se era proprio in forma. Ma male male male male male male. Allora stava bene. Quando poi le cose andavano male davvero, come quella sera, era una specie di regalo. Non c'era bisogno di far finta. Era tutto vero.»

In una sciarada di equivoci e personaggi spassosi, comici ma con una vena drammatica - come Gianni Lamborghini, che si vergogna di aver amato tantissimo sua moglie, oggi interessata solo a mondare fagiolini; oppure la coinquilina di Marzia, Stefania, che ha una sua personalissima visione degli uomini -, il giallo intessuto da Paolo Nori intreccia le fila con la commedia, con l'humour nero e tagliente, con certe profondità di assurdo mutuate dalla migliore letteratura russa. 
Insomma, mentre state leggendo "Che dispiacere. Un'indagine su Bernardo Barigazzi" non siete mai sicuri di aver transennato bene il genere che si dipana sotto i vostri occhi. E per fortuna, aggiungerei.

Nori esordisce con un giallo che, fin dalle prime pagine, dichiara che il genere gli sta stretto e spazia dove vuole: del resto, il suo linguaggio accurato e ammaliante sa conquistare il lettore anche senza vestirsi di una divisa particolare. 
Ho apprezzato molto la lingua materica, ricca di strutture rese dolci dall'uso parlato, che raggiungono l'apice nei dialoghi, tanto che in alcuni casi sembra di sentire il botta e risposta come se si svolgesse davanti a noi.

"Che dispiacere" ho pensato arrivata all'ultima pagina, anche se la meraviglia pacata di Barigazzi non poteva avere altro finale.

«Quel momento lì, quel bianco, quella relazione che c'era tra loro in quel momento, quello che poteva succedere, la potenza che c'era tra loro in quei pochi secondi, prima che lui alzasse la mano per accarezzarle il collo, sotto la testa, quella parte del corpo che nella sua infanzia si chiamava "il coppino", quel momento lì, loro due soli in mezzo a quel bianco, un quaderno nuovo, sarebbe stato uno dei loro più bei ricordi, forse, chissà.»



[libro omaggio della casa editrice]

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