Recensione: I segreti del giovedì sera di Elvira Seminara



«Un vecchio apriva a fatica il suo ombrello. Ma non pioveva. Erano solo prove d'autunno.»

La vita non smette mai di sorprenderci, poco importa se abbiamo sedici, trenta o sessant'anni. L'unica differenza, forse, sta nel fatto che se abbiamo sessant'anni, da quella sorpresa, quasi sempre ne trarremo un insegnamento.

Così, quando un giovedì pomeriggio, Miriam si presenta alla riunione con le amiche con i capelli cortissimi e bianchi, senza alcuna tintura, Elvis, la voce narrante di "I segreti del giovedì sera" di Elvira Seminara [Einaudi], capisce che qualche cosa è cambiato (e non è il parrucchiere!).

«Come al solito ho mentito io per tutte: - Stai benissimo, ti sei tolta dieci anni! E poi com'erano tristi e retoriche quelle onde scure di capelli!»

Elvira, detta Elvis, ha un gruppo di amici con cui, cascasse il mondo, si incontra ogni giovedì sera, e a volte, a turno, il loro mondo è davvero crollato: c'è chi è rimasta vedova, chi è stato lasciato dall'amante di trent'anni più giovane, chi sa di essere malato, chi lo immagina soltanto.
Elvira scrive d'attualità, ma anche di tutte le storie che le passano davanti agli occhi: è attraverso la scrittura che decifra i cambiamenti che avvengono in se stessa e nei suoi amici. È lei che, spesso, pensa delle cose che non dice e sono quelle le cose più vere.

«La letteratura è comunque una profezia. Se la rivolgi al passato, fa tornare indietro le cose. E le puoi riscrivere come vuoi.»

Come comportarsi di fronte a una delle tue migliori amiche che si fidanza con un ragazzo molto più giovane e lo aiuta nella sua attività, lanciandosi in investimenti ed esperimenti sentimentali azzardati? Cosa dire al tuo amico che, di fronte alle pretese dell'amante, confessa di essere convinto che sua moglie sappia tutto e che gli stia bene così? Cosa fare se, di fronte al mare che si prepara alla tempesta, ti viene da fermare l'auto in mezzo alla strada e andare a guardare le onde?

«Non puoi rischiare di stancarti inutilmente, braccando cose che non trovi, o nei posti sbagliati. Per questo tanta gente è infelice. Sprechiamo energie e sentimenti.»

Elvira segue i suoi pensieri e li incastra in giovedì a volte spigolosi, in cui non si sente comoda, e poi li modella in giornate dove il vento soffia talmente forte da lasciarti la testa vuota. Gira per Catania - mai così pulsante come quando lei la percorre in lungo e in largo - e cerca di mettere insieme i pezzi di un puzzle la cui immagine di riferimento cambia continuamente.

Elvira Seminara racconta e confessa i dubbi, le insicurezze, i dolori di una generazione che si immaginava pacificata con la vita, col lavoro, con l'amore, e che, invece, ha ancora tantissimi tormenti con cui fare i conti. 
I segreti fluiscono grazie a una scrittura mai voyeuristica, carezzevole nella disponibilità a trattare coi guanti anche le rivelazioni più sconvolgenti, senza indugiare in particolari inutili, ma dando spazio - e aggettivi - solo a quegli elementi in grado di dare emozione.

Mi è piaciuto ascoltare i discorsi di Miriam, Sophia e Olivia, mi hanno fatto tenerezza anche i loro malumori, le risposte piccate e i giudizi a denti stretti, così come i sussulti giovanilistici di Mauro, Pietro e Cesare, quel loro guardare senza vedere davvero chi o cosa gli sta di fronte.

«La strada che porta a casa mia si arresta solo davanti al mare, e questa cosa mi ha sempre emozionato. La terra finisce dove comincia l'acqua. Vivo sul bordo dell'isola, dove la terra si fa eccezione, orlo - da superare e riagguantare. Disforia da isolani, per questo ne soffriamo tutti. Bisogno di fuggire, ansia di tornare. Tutti.»

Ho letteralmente amato ogni pagina in cui Seminara lascia fluire la penna liberamente, mentre osserva il paesaggio che scorre davanti ai suoi occhi quando torna a casa o mentre cammina per il lungomare: ho ritrovato i colori, quell'odore di mare vaporizzato nell'aria, quel senso di forza invincibile che si prova sempre vicino al mare e ne ho sentito nostalgia.

"I segreti del giovedì sera" è un romanzo che possiede la dolcezza di una chiacchierata in una giornata di sole, seduti al tavolino di un bar all'aperto, con un raggio di sole che gioca con la granita che pian piano si scioglie nel bicchiere che abbiamo davanti, ma non ce ne curiamo. Sappiamo che non possiamo farci molto, il tempo passa e noi stiamo lì a sentirlo passare.

«Quando un giorno improvvisamente provi nostalgia dei tuoi amici, anche se sono davanti a te, se li vedi ridere e provi tenerezza, poi gelosia e colpevolezza, e poi apprensione come se fossero in pericolo, in pericolo di felicità, lontani e intimi come mai, vuol dire solo una cosa, che quella storia sta finendo. E io devo prepararmi, allestire un congedo che non sia una fine.»


[libro omaggio della casa editrice]

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