Recensione: Amare tutto di Letizia Pezzali



«Una cerimonia: trovarsi al principio della notte, parlare di storie dimenticate, raccontarsi i fidanzati orribili. Cose da ragazze, insomma, e loro non lo erano più, ma si percepiva nell'aria un'inquietudine piacevole.»

Cosa succede a una vita inquadrata quando esce fuori dagli schemi? Può rivelarsi per quello che è o deragliare completamente.
In "Amare tutto" di Letizia Pezzali [Einaudi] è la vita della protagonista e di quelli che stanno attorno a lei a uscire improvvisamente dagli schemi e a deragliare, insieme al filo logico della trama.

Lucia è sposata con Pietro, hanno due figli e vivono in provincia, in una città che ruota attorno alla fabbrica di cui Pietro è amministratore. Una improvvisa esplosione riempie la città di un odore orribile e, mentre si cerca di capire cosa sia successo, Lucia riceve un invito da Francesca, la madre di una compagna di scuola di sua figlia Elena, per rifugiarsi in collina, per rilassarsi e cercare un po' di aria buona.
Appena arrivati, un incontro fortuito - o forse orchestrato da Francesca - fa conoscere Massimo a Lucia: Massimo è un uomo taciturno, che osserva e sembra cogliere particolari non visibili ai più. Lucia ne è immediatamente affascinata. Così, tra incontri nel bosco, chiacchierate insolite tra donne e segreti sepolti, si arriva a un finale precario come le relazioni raccontate.

- La maggior parte degli odori nel mondo è sgradevole.
- Io non sento mai niente, ho il naso come tappato, ma ti credo.
- Il mondo puzza.

"Amare tutto" inizia mettendo sul piatto diversi elementi molto interessanti: l'immobilismo, la noiosa conformità della vita borghese, il ricercare sempre qualcosa che è al di là da venire - un figlio, un lavoro migliore, una casa più grande, maggiore rispetto -, quel senso di attesa che fa immaginare una detonazione imminente.

L'esplosione avviene realmente nella fabbrica e diventa il presupposto per l'avvio di un'amicizia tra donne che fino a quel momento si erano ignorate: si incontravano nei corridoi della scuola, osservandosi di sottecchi ma senza particolare simpatia. Lucia fa parte della nuova borghesia mentre Francesca appartiene a una famiglia ricca da sempre, conosciuta e rispettata anche fuori città: hanno poco in comune, poco di cui parlare, per questo non hanno mai pensato di avvicinarsi. Poi succede: un invito improvviso quanto bizzarro. Per dirla tutta, io non lo avrei accettato, anche perché la situazione alla fabbrica non è chiara e di certo non sembra avere la gravità di un'esplosione nucleare. Ma Lucia si imbarca in questa gita insolita come è insolito tutto fin dall'inizio.

«Erano due mondi che comunicavano segretamente, la collina e il mare a quadretti. Dialogavano a riparo dagli uomini.»

Di insolito - e inquietante - ci sono i bambini che cadono immediatamente in un torpore che, a leggerlo, sembra preoccupante: dormono senza subire la scomodità né degli scossoni dell'auto, né dei letti nuovi e, soprattutto, diventano silenziosi. Giocano senza fare rumore, tanto che le mamme li perdono di vista, non riescono a individuarli tra la casa e il giardino, non li sentono avvicinarsi né sparire. 

Altrettanto silenziosamente Massimo esce dal bosco e ci ritroviamo persi in una attrazione che non ha appigli, né nell'atteggiamento dell'uomo né nella situazione favorevole: sono dovuta tornare indietro di qualche pagina - due volte! - per cercare di capire cosa mi fosse sfuggito dalla sua apparizione al rapporto sessuale fugace e selvaggio nel bosco. Non mi ero persa niente, per la cronaca: succede davvero tutto improvvisamente.

«Era un uomo al quale veniva voglia di avvicinarsi il più possibile, ed era anche bello in modo oggettivo, e la cosa più strana di tutte era che Lucia non si sentiva colpevole, le pareva di essere solo un po' ridicola. In lei resisteva però il senso del dovere.»

Mi è dispiaciuto molto non riuscire ad apprezzare fino in fondo la storia di Lucia, la pazzia di Francesca e la problematicità di Massimo: la mia attenzione di lettrice si è persa in un tempo del racconto nebbioso, sospeso, senza punti di riferimento forti.

Quello che ho gradito, invece, è la scrittura scorrevole e il ritmo che non smette di catapultare il lettore da un ricordo a una passeggiata, svelando un segreto e un'ossessione qua e là.
Alla fine, ho rivalutato l'atmosfera tesa e vagamente raccapricciante dei bambini silenziosi, dei quadri di casa che assumono volti ed espressioni diverse a secondo dell'animo di chi li guarda, del cimitero del paesino, ma non sono esattamente sicura che fosse quello lo scopo del romanzo. 
A confronto, anche la "normalità" borghese di Pietro è diventata ai miei occhi un elemento degno di stima.

«Era stupefacente l'assenza, nell'animo di Lucia, di motivi reali per cui soffrire.»


[libro omaggio della casa editrice]

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