Recensione: Il silenzio di Don DeLillo

 

«La vita a volte può diventare così interessante che ci dimentichiamo di avere paura.»

Quando è l'ultima volta che siamo stati davvero in silenzio? Un silenzio totale, intendo, anche dalle cose che diciamo scrivendo in rete, o che leggiamo, o che ci inviano i nostri contatti.
Per quanto mi riguarda, molto tempo e, a dirla tutta, guardo con desiderio e terrore al silenzio totale.

Di un silenzio buio, enorme, tentacolare, parla, appunto, "Il silenzio" di Don DeLillo [Einaudi].
Romanzo breve o racconto lungo, ha all'interno delle sue poco più di cento pagine un abisso di tenebra che si apre all'improvviso e che inghiotte tutto.

«A quel punto successe qualcosa. Le immagini sullo schermo cominciarono a tremolare. Non era una normale distorsione del segnale: c'era un senso di profondità, forme astratte che si componevano per poi dissolversi.»

Jim Kripps e sua moglie Tessa stanno rientrando a New York dopo un viaggio a Parigi, giusto in tempo per guardare la finale del Super Bowl insieme ai loro amici Max e Diane. Improvvisamente il loro aereo inizia a sobbalzare e solo dopo sapremo che sono sopravvissuti pressoché incolumi all'atterraggio di emergenza.
Nello stesso momento, Max e Diane, insieme a Martin, ex alunno di Diane e fisico geniale, sono immersi nelle pubblicità che precedono l'inizio dello show e, tutt'ad un tratto, lo schermo diventa nero, i telefoni non funzionano e perfino l'ascensore è fermo.

«E loro lì, a guardare e ascoltare. Solo che non c'era niente da ascoltare. Il telecomando era a terra, davanti a Max, che lo prese e cominciò a schiacciare ripetutamente il tasto del volume: niente audio. E poi a un certo punto lo schermo diventò nero.»

Manhattan, nel 2022, è una lingua di buio e di silenzio nell'immenso vuoto globale. Don DeLillo immagina un disastro che azzittisce qualsiasi rumore tecnologico, lasciando noi, generazione di "tossicodipendenti digitali" in balia di qualcosa di molto più spaventoso e da cui nessun filtro potrà proteggerci, i nostri stessi pensieri.

Non si sa cosa stia succedendo - un attacco terroristico, una guerra - ma non poter controllare, non potersi confrontare con gli altri esseri umani in possesso di una connessione internet, è come camminare bendati su un terreno dissestato.
Sia Jim e Tessa che Max e Diane si trovano senza scudo l'uno nei confronti dell'altro: Tessa ha perso nell'incidente aereo i quaderni su cui scrive continuamente i suoi pensieri e Jim sente uno squilibrio anche fisico, mentre Diane si accorge di guardare il suo ex allievo in maniera adorante, un'adorazione mentale per le sue idee visionarie, per le sue teorie al limite del vaneggiamento, e Max esce sul pianerottolo a parlare come un essere umano con i vicini a cui non aveva mai rivolto la parola, va nella folla per tastare il polso della paura collettiva.
 
«Le pause cominciavano a diventare silenzi e a comunicare un senso di normalità, anche se era una normalità per nulla rassicurante.»

Nel silenzio apocalittico di questo romanzo ho riconosciuto, purtroppo, lo sconcerto, l'immobilità scioccata che ha colto tutta l'umanità esattamente un anno fa: le città svuotate di rumori e di vita, atterrite e ferme in attesa del prossimo colpo che non si sapeva da dove sarebbe arrivato e in quale misura. Pensavamo che fosse un silenzio sospeso, e non avevamo capito che era una guerra.

E se è vero che è stato scritto prima dello scorso anno, non posso che vederci una profezia che si sarebbe avverata di lì a poco.

"Il silenzio" è il mio primo DeLillo e confesso di aver provato finora sempre una sorta di timore di fronte a uno dei più grandi scrittori americani contemporanei, senza sapere che condivideva molti elementi del suo postmodernismo con Paul Auster, uno degli autori che più mi sono entrati nel cuore.

«Non è strano il fatto che certi sembrino aver accettato questa sospensione, questo guasto?»

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