Recensione: Sete di Amélie Nothomb



«Dalla parte più profonda di me sgorga il desiderio che più mi somiglia, il mio bisogno adorato, la mia arma segreta, la mia vera identità, ciò che mi fa fatto amare la vita, ciò che me la fa amare ancora:
- Ho sete.»

"La fede è una scommessa" asseriva Blaise Pascal e chi crede in qualcosa scommette sui molteplici aspetti di quella fede.
Attorno alla figura carismatica di Gesù Cristo si sono raccolte credenze, superstizioni, leggende e epica che lo hanno pian piano cristallizzato nel raggiante bambino appena nato del presepe e nell'uomo in croce, a capo chino.
In "Sete" [Voland], Amélie Nothomb osserva l'uomo Gesù nelle ultime ore di vita, dal processo alla crocifissione.

Dopo l'inesorabile giudizio di Ponzio Pilato, Gesù viene condotto in prigione, dove passa la notte a ripensare alle testimonianze delle persone che ha miracolato nel corso della sua vita: nessuno di loro mostra la minima gratitudine nei suoi confronti, persino chi ha vinto la morte, in fondo, non è per niente contento della sua vita attuale e imputa a lui e ai suoi miracoli la colpa.
Ma come è possibile? Lui ha agito seguendo la via del bene, quella scintilla che gli scaturisce da sotto la pelle, ancora più giù, da sotto la scorza del suo essere.

«In verità vi dico: ciò che sentite quando state morendo di sete, coltivatelo. Lo slancio mistico non è che questo. E non è una metafora. La fine della fame si chiama sazietà. La fine della stanchezza si chiama riposo. La fine della sofferenza si chiama conforto. La fine della sete non ha nome.»

L'incomprensibile comportamento dei miracolati lo lascia senza forze e viene colto da una umanissima e incontrollabile paura. Paura per il dolore fisico che sa che proverà nel supplizio della croce, ma anche paura di perdere il centro di sé stesso, il controllo di quello che ha dentro.

Ogni pensiero è incatenato a un altro e, quasi senza rendersene conto, Gesù trova l'unica cosa che può ancora controllare e che lo fa sentire vivo: la sete.
Un bisogno che riesce ad annullare qualsiasi altro e che non ha una definizione precisa quando cessa di ardere le fauci, la sete diventa la forza ultima a cui un uomo in procinto di morire si aggrappa per sentire ancora la fiamma della vita.

«Smettila di guardarmi così - diceva a volte.
- Tu sei il mio bicchiere d'acqua.
Nessun godimento può competere con quello che ci procura un bicchiere d'acqua quando stiamo morendo di sete.»

Il libro di Nothomb parla con la voce di Gesù-uomo, un essere umano con un corpo e dei sentimenti che si innamora a prima vista di una donna, Maria Maddalena, e che con lei sente sulla pelle tutte le infinite beatitudini del Padre.
In ogni anfratto del piacere, ritorna sempre la sete e il suo desiderio di essere soddisfatta, l'acqua come sogno e miraggio, come rimpianto e nostalgia su cui focalizzarsi prima di perdere ogni cosa.

Ho apprezzato "Sete" perché una delle figure più note e controverse della cultura occidentale viene posta sotto il riflettore umano che illumina i difetti e i desideri e il risultato è un'appassionata preghiera urlata contro un cielo sorprendentemente muto, un inno alla vita e al corpo come fonte di gioia, una cronaca sul proprio mondo interiore un attimo prima che si smaterializzi per tornare nell'eternità.

Da lunghissimo tempo desideravo leggere una delle opere di Amélie Nothomb e questa mi è sembrata perfetta per il periodo. Non escludo che leggerò ancora altri suoi libri perché mi ha lasciato la sete di approfondire ancora la sua scrittura e la sete di leggere, per me, è vita.

«Per provare la sete, occorre essere vivi. Io ho vissuto così intensamente da morire assetato. Forse eè proprio questa la vita eterna.»

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