Recensione: Campo di battaglia di Jérôme Colin


«Stravaccato sul divano, lo smartphone sulle ginocchia, il telecomando in una mano e un pacchetto di patatine nell'altra, aveva un'aria inoffensiva. Eppure da un anno a questa parte si applicava metodicamente a mettere la nostra famiglia a ferro e fuoco.»

Sono tutti belli, profumano di biscotti e zucchero a velo, sono la luce, la gioia, le risate a scoppio improvvise, le corse a perdifiato per casa rincorrendo un gioco immaginario.
I figli sono tutto questo e anche di più. Poi crescono.

Lo dicono tutti, fin da quando te li stringi al seno un'ora dopo che sono usciti dalla tua pancia: "Eh, goditeli adesso che poi crescono". Certamente ripetere che finirà mentre si sta godendo, non aiuta molto il godimento, ma tant'è, sono opinioni mie, poi ognuno è libero di farsi dire quello che vuole.

Lo dicono tutti, insomma, e Jérôme Colin lo ribadisce nel suo libro "Campo di battaglia" recentemente pubblicato da Einaudi.

«Mi dicono che non è colpa sua. Che il processo di maturazione del suo cervello è ancora incompleto. [...] Insomma mi hanno spiegato che in fondo non è un idiota. È solo una questione di età. Be', me lo auguro di cuore.»

Scritto in prima persona, "Campo di battaglia" è il racconto di come si vive in un costante stato di guerra, dove uno sguardo vale quanto una bomba e ci vuole poco per far crollare il tetto di una famiglia. Il nemico non arriva da fuori, purtroppo, ma è il figlio diventato adolescente dalla sera alla mattina e che, improvvisamente, mette in discussione qualsiasi cosa, dall'amore agli abbracci dei suoi genitori, passando per il menù del giorno e le regole scolastiche.
La famiglia diventa un esercito schierato in attacco e in difesa e, spesso, gli alleati che si aspettava di avere sono dalla parte del nemico: la coppia si spacca e il narratore ci descrive il tradimento di vedere i più grandi amori della sua vita fronteggiare il suo bisogno di normalità con il silenzio e l'astio.

Giorno dopo giorno, il protagonista si richiude sempre più in sé stesso, fino a chiudersi letteralmente nel bagno dove, tra quattro mura, mentre fissa le fughe tra le mattonelle, immagina fughe mentali da una realtà che non corrisponde più a quella che sognava e che credeva di vivere.

Viene da chiedersi come sia possibile che l'adolescenza causi un tale sconquasso. Eppure.

«Non sono mai stato in Thailandia perché c'è sempre una buona ragione per non mettersi in viaggio. Per questo le nostre vite sono così limitate, mentre il mondo è così grande.»

Jérôme Colin usa l'ironia quando cammina sul filo dell'amarezza e dosa bene il sarcasmo quando rischia di diventare cinismo: il risultato è un racconto molto sentito, perfino nostalgico, emozionante quando si rompono le barriere e tracima tutto l'amore che sente per il figlio adolescente, un alieno apparentemente impossibile da amare, ma che riesce a riservare belle sorprese quando si trova di fronte agli eventi tragici del mondo.

Dal primo rigo all'ultimo, mi sono sentita coinvolta con le tribolazioni del protagonista, disperando di vedere una soluzione, a meno che l'adolescente di casa non si fosse magicamente risvegliato bambino paffuto e desideroso di baci.
Nel corso della lettura, ho compiuto un delicato viaggio della memoria per cercare di ricordare la mia adolescenza, i conflitti con me stessa e con la mia famiglia, ma nonostante gli sforzi, mi pare che non siano pervenuti. In compenso, da madre, ho tremato per la probabile profezia del futuro.

"Campo di battaglia" è il commentario bellico della campagna militare di un padre alla riconquista del figlio adolescente, per vincere non solo il suo amore adulto, ma anche un nuovo rispetto di sé.



[libro omaggio della casa editrice]

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