Recensione: Il valore affettivo di Nicoletta Verna


«Adesso so che esattamente quella era la felicità, anche se io non lo sapevo perché questa è la cosa stupida della felicità: che la riconosci solo quando è finita.»

Quanto abisso può nascondere l'animo di una sola persona prima di implodere e creare un buco nero dove niente ha più senso?
Mi sono fatta questa domanda fin dalle prime pagine di "Il valore affettivo" di Nicoletta Verna [Einaudi] ben sapendo che prima o poi sarebbe arrivato il punto di rottura.

Fin dall'inizio sappiamo che Bianca aveva una sorella, Stella, che è morta, e lei vive cercando di tenere sotto controllo i sensi di colpa. Sappiamo che la morte di Stella ha gettato la madre in uno stato catatonico e che ora vive in un istituto, dove Bianca si costringe ad andarla a trovare, nonostante quelle visite la feriscano e le scavino dentro.
Bianca è bellissima e ha accanto Carlo, un cardiochirurgo di fama mondiale, bello e sicuro di sé: vivono in una casa perfetta a Roma e lei apparentemente lo venera e cerca di esaudire tutti i suoi desideri.
Sappiamo che Bianca si guadagna da vivere sbobinando i sondaggi fatti da gruppi di ricerca marketing sui prodotti più disparati, ma veniamo a sapere anche che, quando andava a scuola, era una starletta della tv, dove girava le caselle di un cruciverba in bikini di lurex.

«Anche il fatto che ogni tanto mia madre cerca di uccidersi è diventato un'abitudine, come più o meno il resto.»

Pagina dopo pagina, l'apparenza perfetta di Bianca si incrina e scopriamo che ha creato dei rituali per tenere sotto controllo l'ansia e il panico che le scorrono costantemente nel petto: è ossessionata dal catalogare tutti i rifiuti, suoi e altrui, e quando qualcosa sfugge al suo controllo, intensifica la ricerca scavando anche nei cassonetti pubblici, pur di infliggersi l'orrore di vedere il deterioramento, il marciume, la perfezione della polpa intaccata dalla putrefazione.

Ci vuole poco a paragonare la superficie esteriormente perfetta della protagonista con l'abominio che cova dentro di sé: l'autrice riesce a creare uno stato di tensione nel lettore grazie ad aggettivi sempre più precisi, che fungono da zoom sulle cose che Bianca tira fuori dalle pattumiere e dai suoi ricordi, accentuando il ritmo veloce degli attacchi di panico in contrapposizione alla calma successiva, mentre tutto attorno impazzano le cose più ripugnanti.

«Non sono una persona fantasiosa. Faccio ogni giorno le stesse cose e faccio ogni notte lo stesso sogno: piove e uccido Stella.»

La famiglia descritta da Verna diventa un'istantanea perfetta, per colori, luci, composizione, ma se si guarda sul retro, si vedrà che qualcuno ha vergato a penna la verità. Così, la famiglia di Bianca e Stella si sfalda, allo stesso modo dell'impeccabile nucleo da cui proviene Carlo, e loro due insieme faticano a formarne una propria, a causa dei problemi di fertilità di Bianca.
Tutto quello che sia Bianca che Carlo desiderano sembra sempre essere a un palmo dalla loro presa, mentre il resto del mondo pensa che lo abbiano già afferrato da tempo: è forse questa la verità più dolorosa che ci troviamo a fronteggiare, mentre veniamo trascinati da una spirale crescente di horror vacui, e speriamo di toccare il fondo perché, anche il fondo, sarebbe comunque preferibile al vuoto.

«Visto da lontano, tutto ciò che pertiene alla mia vita sembra incantevole.»

È nel vuoto della sua esistenza, è per la colpa che le pesa sul cuore, è per tutte le cose guaste che ha dentro di sé che Bianca, a un certo punto, concepisce un piano folle, in cui il suo uomo diventa solo uno strumento per darsi una seconda possibilità e cancellare gli errori del passato.
Solo quando viene rivelato il piano, cadono tutte le finzioni e vediamo il vero volto di Bianca, di Stella, della madre e del padre, di Carlo e di quello che li circonda.
Allora, alla luce di questo disvelamento, vi verrà voglia di andare a rileggere le pagine, i capitoli precedenti, per reinterpretare correttamente i gesti, gli sguardi, i pensieri.

Ma poco importa: a una prima o a una seconda lettura, quello che salta all'occhio è la disturbante consapevolezza di star leggendo una storia che tocca tutti i picchi dell'umana sopportazione. Dalle vette di bellezza alle fogne, dal sublime allo schifo, Bianca è una bambola perfetta con dentro un meccanismo apparentemente guasto, ma che forse non è nient'altro che il bisogno vorace di una carezza.

"Il valore affettivo" è il primo romanzo di Nicoletta Verna e, durante la lettura, neppure una volta mi sono resa conto di avere tra le mani un esordio, salvo poi gioire, alla fine, perché una scrittura così arricchisce profondamente il lettore, gli dona un senso di soddisfazione così piena che, temo, sia  difficilmente replicabile.

«Non è che fossi triste: quello che sentivo non era il contrario della felicità,
era il contrario della vita.»


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