Recensione: Gli estivi di Luca Ricci


«L'estate, con la sua esuberanza dozzinale, mi ricorda va costantemente quanto stessi invecchiando, quanto fossi già invecchiato.»

Per quanto l'estate sia la stagione della luce più splendente, ha in sé qualcosa di decadente, l'oro barocco del sole che inizia a scrostarsi negli angoli più usurati ed è su quel deterioramento che è più interessante posare l'occhio.

Dopo averci decantato il fulgore dell'autunno, Luca Ricci firma il secondo capitolo di una ipotetica tetralogia delle stagioni.
Ne "Gli estivi" la voce del protagonista senza nome ci racconta, estate dopo estate, per quindici anni, l'innamoramento senza speranza per una poco più che quindicenne, la dinamica spenta di coppia che vive con la moglie, il desiderio che spara le sue ultime cartucce, l'editoria e la società in generale.

«Mi sei comparsa davanti agli occhi la notte di San Lorenzo, d'improvviso, a tradimento. Sei stata un desiderio che non avevo espresso, esaudito da una stella che non avevo visto cadere.»

La voce narrante è un impiegato Rai, cinquantenne, scrittore per diletto e dall'ispirazione in stallo, sposato da tempo immemore e padre di un figlio lontano. Ogni anno va in vacanza nella casa al Circeo e assiste ai cambi di umore e di coppia dei vicini di ombrellone e di casa, mentre la sua, di coppia, lentamente si spegne nell'abitudine.
Una sera, mentre è al ristorante, tra un battibecco e l'altro con la moglie, il suo sguardo si posa su una tavolata dove rifulge la bellezza di una ragazzina, avrà poco più di quindici anni e nemmeno lo vede, ma da quel momento lui non fa che cercare lei, ogni anno, anno dopo anno, mentre osserva da lontano i cambiamenti del suo corpo che fiorisce.

«C'è davvero qualcuno a cui piace l'estate? O sono pose, si deve dire perché è la stagione del divertimento?»

La sua costante noia viene pungolata da improvvisi sprazzi di adrenalina ogni qualvolta scorge la misteriosa ragazzina, poi ragazza e giovane donna sul lungomare, nella passeggiata serale dei vacanzieri e, in seguito, nel suo stesso gruppo di conoscenze: cerca di coglierne i dettagli, il profumo, qualsiasi particolare che possa alimentare per altri dodici mesi la sua curiosità e la sua lussuria.
La frustrazione lo porta a fare scelte sbagliate, passi falsi che ragionando senza libido avrebbe potuto facilmente evitare. Per fortuna, anche di quegli errori è libero di sghignazzare con Lello Annibali, suo editore e vicino di casa d'estate: Lello è scapolo, perennemente alla ricerca di avventure e disposto ad ascoltare quelle vere o solo immaginate degli altri, è lo specchio dell'età che avanza un po' per tutti ma non si rassegna, è un crepuscolo che crede di avere ancora la forza di accecare.

Se pure ho apprezzato Alberto Gittani de "Gli autunnali", ho infinitamente più gradito i discorsi sul mondo editoriale di Lello Annibali: il suo sguardo limpido e ironico, scanzonato, per certi versi cinico, sulla scrittura e gli scrittori, mi ha strappato ogni volta una riflessione e un sorriso.

Luca Ricci ha saputo consegnare all'inchiostro lo stillicidio del desiderio insoddisfatto, quella brama che sta sempre per diventare violenta e poi si spegne come un'onda che rifluisce sulla battigia.
Descrivendo usi e costumi dei villeggianti, Ricci tratteggia le ossessioni di una generazione, le abitudini e le convinzioni di un'epoca che, come l'estate, rifulge nella sua stessa caducità.

Ho letto "Gli estivi" con quel languore che coglie nei pomeriggi d'agosto, quando l'estate sembra voler cedere il passo ma continua a lanciare strali di stanco calore soffocante.
Aggiungo volentieri un nuovo tassello alla futura - prossima? - serie delle stagioni di Ricci, con addosso una nuova smania, in attesa che l'autore consegni alla lettura l'equinozio e il solstizio mancanti.

«Bisogna sopravvivere all'estate, ogni fottuto anno.»

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