Recensione: Il tempo di tornare a casa di Matteo Bussola



«Vivere, in fondo, non è che una serie di storie che si chiudono e si aprono, un continuo stringere la presa e lasciar andare. Una catena infinita di incontri e addii.»

Quando sono in stazione o in aeroporto quasi sempre vado di fretta, ma c'è stato un tempo in cui mi concedevo anche il lusso di guardarmi attorno, di osservare le persone attorno a me.
Adesso, se ne avrò l'occasione, lo farò con più consapevolezza perché "Il tempo di tornare a casa" di Matteo Bussola [Einaudi] mi ha ricordato che ognuno è un pezzo di una storia che riguarda anche me.

«Ma tra una fine e un nuovo inizio esiste una stagione dai confini incerti, un guado in cui può capitare di smarrirsi: è il tempo dell'attesa.
Ci sono persone che passano la maggior parte della vita ad aspettare.»

Tutto inizia con un treno che lo scrittore perde e, in attesa del successivo, gira per la stazione cercando di passare il tempo e sfuggire alla noia.
Sembra distratto, una figura dal bizzarro cappello giallo canarino che si aggira per i negozi e le panchine, eppure i suoi occhi sono abituati a notare dettagli che ai più sfuggono: coglie uno sguardo, nota un gesto, comprende un modo di muoversi che potrebbe essere anonimo e invece denota disagio, riesce a sorridere a chi incrocia il suo cammino anche per un attimo.

Nascono così una miriade di storie tutte collegate tra loro, tenere, delicate, ma anche crudeli, tristi, brutali nel loro imprevedibile risvolto della realtà: c'è il coniglio gigante che vediamo in copertina, ma ci sono anche Milo e Nadia di "L'invenzione di noi due" e sapremo finalmente cosa ne è stato del loro rapporto.
La scrittura di Matteo Bussola riesce a posare una carezza anche dove la vita ha saputo bastonare a sangue ed è in quella delicatezza, nella gentilezza di chi dipana i conflitti con un sorriso, che sembra riconoscere una ricompensa alla commozione che non sappiamo trattenere durante la lettura.

«Da quella sera so due cose.
La prima è che l'amore ha sempre, sempre a che fare con qualcuno in grado di riportarti a casa.
La seconda è che stare lì, soprattutto nei momenti difficili, può essere la soluzione migliore.»

È come se l'autore volesse confidarci che, sebbene la vita non sia giusta e che spesso la realtà ci mette a dura prova, c'è sempre un'altra maniera di reagire al dolore, alla paura, alla rabbia, e questa maniera non è la rassegnazione, ma la possibilità di guardare le cose da un altro punto di vista, dal punto di vista di un'altra persona, magari una qualsiasi che incrociamo mentre aspettiamo il treno.

"Il tempo di tornare a casa" è un mazzo di fiori appena spuntati, alcuni che avrebbero avuto bisogno di più linfa (soprattutto perché ci si affeziona ai personaggi e non si vorrebbe lasciarli andare così presto), altri  invece pienamente in boccio in tutto il loro splendore, ognuno senza dubbio portatore di una bellezza che difficilmente dimenticheremo.

«Ecco a cosa servono le storie, più di tutto il resto.
A dare un senso alle nostre attese. A farci capire che c'è sempre un treno da prendere, nonostante tutto.
A farci sentire che siamo ancora in tempo.»


[libro omaggio della casa editrice]

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