Recensione: La geometria delle coppie di Diana Evans


«Nel linguaggio di coppia il pronome "io" si perde. E loro parlavano di sé al plurale come la regina, includendo l'altro e sminuendo il proprio ego, per cui le loro personalità di singoli si annacquavano.»

Comunemente e banalmente si dice di aver trovato la propria metà quando si incontra qualcuno che ci piace, come se prima, senza, fossimo stati tronchi, manchevoli, incompleti.
Due pezzi che si incastrano e che lasciano fuori tutto il resto in una forma nuova e solida.
Parliamo di esseri umani eppure sembra che la geometria sia fondamentale.

È quello che esce fuori anche da "La geometria delle coppie", il romanzo di Diana Evans pubblicato in Italia da Einaudi e vincitore del South Bank Sky Arts Award e finalista del Women's Prize for Fiction.

«Michael continuava a lasciare la mano posata sulla coscia di Melissa per rimanere aggrappato con lei a quel fulgore, per quanto offuscato dal fatto che sembravano incapaci di trovare qualcosa di cui parlare.»

Siamo nella Londra del 2008, Barack Obama è appena stato eletto presidente degli Stati Uniti e Michael e Melissa stanno andando a una festa per celebrare la vittoria. Non sono americani, sono neri in un pattern di culture che spesso gli sta stretto, anche nella vasta multiculturalità londinese, ma soprattutto sono una coppia che, malgrado le apparenze, non combacia più nelle due metà perfettamente incastrate.

Michael e Melissa sono splendidi nella loro bellezza fiera, consapevole, nella sicurezza con cui si muovono in qualsiasi ambiente, sono due totem a cui si inchinano quelli che li incontrano, abbagliati.
Diana Evans, però, fa un'operazione molto interessante e, allo stesso tempo, crudele: smonta questa perfezione un po' alla volta, dettaglio per dettaglio, scintillio dopo scintillio ci avviciniamo ai due e notiamo che non si toccano più, che uno dei due non incontra lo sguardo dell'altro, che si sforzano di essere gentili l'uno con l'altro, come se un'energia devastante serpeggiasse sotto pelle.

«La passione è una cosa sporca, e Michael e Melissa erano troppo puliti, le facce lavate, le bocche rinfrescate, le porte, le finestre, i fornelli e i rubinetti controllati per evitare che la casa bruciasse, si allargasse o esplodesse.»

Il quadro della storia si allarga fino a comprendere un'altra coppia, Damian e Stephanie, portatori di nuovi punti di vista sull'essere una coppia con figli, avere un lutto irrisolto e guardare le altre coppie come se fossero detentrici di una verità e di una perfezione irraggiungibili. In particolare, Damian guarda sua moglie Stephanie mentre si occupa della casa, si affanna a stargli dietro per farlo uscire dal suo guscio, gli urla ordini e compiti e la paragona a Melissa, l'immagine della sensualità e della tranquillità domestica secondo lui.
Damian e Stephanie, al contrario di Michael e Melissa, sembrano due pezzi che non hanno mai combaciato, che non hanno un incastro giusto, eppure restano accostati, in maniera sghemba, imperfetta.

Diana Evans racconta le dinamiche - tossiche o meno - di coppie normali, con problemi comuni e routine che rispecchiano quelle di tantissime altre coppie, e lo fa con ironia, sarcasmo e una pungente malinconia di chi guarda le cose disfarsi sotto i suoi occhi e non può fare niente.
Michael e Melissa erano perfetti e si sgretolano, così come le pareti della loro casa (tra l'altro, i brani dedicati alla casa "posseduta" sono quelli che mi hanno rovinato una lettura che altrimenti sarebbe stata piacevolissima); Damian e Stephanie fanno fatica a stare nella stessa stanza ma continuano a vivere insieme, ognuno teso verso obiettivi che non sfiorano nemmeno l'altro.

La voce di Evans, inoltre, è interessante anche per il modo in cui ci racconta del caleidoscopio culturale che persiste nel tessuto urbano di una megalopoli culturalmente inglobante come Londra: Melissa conserva le sue radici nigeriane nelle ricette della madre, Damian non ha mai fatto pace con l'attivismo del padre arrivato in Inghilterra da Trinidad. Ognuno di loro ha dentro un mondo che, dall'esterno, pare uniformato in un'etichetta che non descrive niente.

"La geometria delle coppie" è un romanzo per certi versi doloroso, perché non risparmia nessun angolo, per quanto crudo, all'occhio impietoso prima dell'autrice e poi del lettore.
Le due coppie escono fuori da qualsiasi formula e non rientrano in nessuna forma geometrica prestabilita e, così facendo, non trovano più una connessione.

Una lettura piacevole, che mi ha ispirato numerose riflessioni sulla reciprocità del desiderio e sulle conseguenze di due sguardi che non si incontrano più.

«Ecco cosa succede a un uomo nato per un grande amore, e non per vivere in giacca e cravatta, quando l'amore lo abbandona. Si chiude in sé stesso. Si lascia prendere dalla stanchezza.»


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