Recensione: Pista nera di Antonio Manzini


«I ricordi.
Sono quelli che mi hanno sempre lasciato a piedi.
C'era un poeta tedesco che diceva che il passato è un morto senza cadavere.
Non è vero.»

Pensare che un libro pretende di avere un suo preciso momento per essere letto, è diventata retorica svuotata del vero significato che potrebbe avere il libro giusto nel momento giusto, e cioè conforto, adrenalina, benessere a livello cerebrale di altissima qualità.

Vi ho parlato delle mie letture felici di gennaio, ma credo di aver avuto una vera illuminazione quando ho deciso di iniziare la serie su Rocco Schiavone scritta da Antonio Manzini e pubblicata da Sellerio.
Finora non mi aveva sfiorato l'idea di poter recuperare tutti i capitoli usciti dal 2013 a oggi, ma quando ho iniziato a leggere "Pista nera" mi sono resa conto che ce l'avrei fatta - potevo farcela davvero! - perché, un personaggio come il vice questore Rocco Schiavone, avrei voluto conoscerlo ancora meglio.

«Il passato è un morto il cui cadavere non la smette mai di venirti a trovare. Di notte come di giorno. E la cosa ti fa pure piacere. Perché il giorno che il passato non dovesse più farsi vivo a casa tua, significa che ne fai parte. Sei diventato passato.»

Ho iniziato, naturalmente, dal primo libro (di undici, finora) e la presentazione del personaggio avviene un po' per volta, mentre indaga sull'omicidio di un uomo travolto da un gatto delle nevi sulle piste da sci di Champoluc. Man mano che la lettura procedeva - piuttosto velocemente, vi confesso, perché il ritmo è molto serrato -, mi sono resa conto di cercare sempre più smaniosamente indizi sulla vita del vice questore, invece che sull'assassino (tanto, ci avrebbe pensato sicuramente Rocco!).
È stato chiaro fin dal primo momento che quell'uomo silenzioso e ombroso ad Aosta non vuole starci, che ci è stato mandato per ripicca, perché ha pestato i piedi a qualcuno molto in alto.
Ci sono altri segreti, però, circolano nel fumo delle sue infinite sigarette, li senti sotto pelle, mentre fanno peso nelle tasche del suo loden iconico: Rocco Schiavone ha dei segreti ma è lui stesso un segreto, un sussurro e uno sguardo di sfuggita che non deve posarsi troppo altrimenti brucia.

Servirebbe a poco raccontarvi dell'indagine, vi basti sapere che, benché mal visto dai poteri forti, Rocco non si lascia sfuggire nessun dettaglio ed è l'ideale per chi, come il questore, vuole velocemente risultati eclatanti per nutrire il suo ego e i giornalisti.
Antonio Manzini sa come affascinare il lettore, perché anche un colpo di tosse o un briciolo di cenere di una sigaretta dimenticata diventa un indizio per l'indagine, così l'attenzione rimane alta anche quando Rocco prende a male parole qualcuno.
A tal proposito vi dirò qualcosa di banale, ma ho riso per i siparietti del vice questore con i suoi sottoposti e molto ha contribuito anche il fatto che l'ho immaginato tutto il tempo con la mimica di Marco Giallini che gli presta il volto nella fiction televisiva (chissà se Manzini lo immaginava proprio così, ma a me sembra perfetto).

Sono pronta per proseguire con "La costola di Adamo" e vi racconterò le sensazioni che questa serie mi suscita.
Per ora, sento che voglio saperne di più, avvicinarmi quanto più possibile alla risoluzione di quel mistero che è Rocco Schiavone.

«Però le posso dare un consiglio? Meno si fa vedere con me e meglio è. Lo dico per la sua carriera e per il suo futuro».
«Futuro? Quale futuro, Schiavone? Siamo in Italia, se n'era accorto?».

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