Recensione: Niente di vero di Veronica Raimo


«Nella mia vita non vedo mai il bicchiere mezzo pieno. Nemmeno mezzo vuoto. Lo vedo sempre sul punto di rovesciarsi.»

Un romanzo su sé stessi, sul rapporto con la propria famiglia, sul sesso, sull'insicurezza, un romanzo così, dicevo, può far ridere?
Messi su carta, i presupposti non ci sono. Siamo seri: si può davvero ridere di ferite ancora aperte, cicatrici mai rimarginate, disagi mai pacificati, quesiti che restano dolorosamente senza risposta?
Razionalmente, no. 
E allora perché, leggendo "Niente di vero" di Veronica Raimo [Einaudi] che, in definitiva, è un romanzo su di lei e la sua famiglia, e il sesso e l'adolescenza e l'amicizia e le aspirazioni e mille altre cose, ho riso?
Perché io non resisto di fronte ai disastri, le ansie, le nevrosi raccontate con ironica, con uno spirito talmente dissacrante da fare il giro su sé stesso e diventare assolutamente divino.

La vado a trovare perché sono preoccupata.
- Ah, Verika, sei tu? - Mia madre mi chiama Verika. - Speravo fosse tuo fratello.

La voce dell'autrice ci racconta di sé stessa bambina, poi adolescente, in seguito donna, alle prese con una famiglia come ce ne sono tante: madre iperprotettiva, padre ossessionato dall'igiene e dalla costruzione di muri, un fratello geniale e spiritualmente illuminato. Una famiglia comune eppure particolarissima agli occhi di chi, suo malgrado, la subisce come scenario forzato dove mettere in atto la propria identità, di falsarla se necessario, per emergere un po'.

La madre, che preferisce smaccatamente il fratello, diventa protagonista di siparietti paradossali che sarebbero comici se non fossero indice di un dolore trattato coi guanti dell'ironia, che ne smorza le punte più corrosive pur conservandone il mordente.

Il padre ossessionato dai germi e dai muri - quasi che gli uni si fermassero di fronte agli altri - compare e scompare con la sua rabbia e il suo "Siamo arrivato al paradosso" che non spiega niente.

Le vacanze diventano l'occasione in cui Veronica e suo fratello Christian sperimentano la noia, un sentimento senza scampo a cui vengono consegnati dalle paturnie dei genitori: è durante i lunghi pomeriggi estivi, mentre non trovano il coraggio di unirsi ai bambini che giocano in cortile, che i due iniziano a leggere, si scambiano i libri, si confrontano con un passatempo che riesce a risollevarli dal tedio e gli apre un mondo.

Mia madre sostiene che di fronte alla possibilità di fare la primina, come aveva fatto mio fratello, io abbia risposto: - No, mamma, grazie. Voglio essere come tutti gli altri.

"Niente di vero" mi ha ricordato tantissime cose della mia stessa infanzia - avevo quattro anni quando il disastro di Chernobyl costrinse anche me a non mangiare frutta e verdura - e della mia adolescenza, con quell'attenzione quasi maniacale che tutti dedicavano alla crescita del mio petto (ho ampiamente recuperato in seguito, grazie per l'attenzione!), ma soprattutto della noia sconfitta dai libri durante quelle interminabili estati, che mi lasciavano addosso solo la smania di avere ancora tantissimi libri da leggere prima che ricominciasse la scuola.

Questo libro è un monologo con una voce che non stanca, anzi, che attrae verso racconti sempre più mirabolanti e, mentre racconta, ne vogliamo sempre qualcuno in più, per riconoscerci ancora.

Ho riso perché, quando l'ironia racconta le manie e le nevrosi con grazia e ustionante intelligenza, diventa comicità raffinata, quella che di fondo ha una verità così riconosciuta da essere dolorosa per tutti.
Veronica Raimo riesce ad accendere piccole luci su drammi anche grandi, senza avere la presunzione di volersi meritare il riflettore, pur sapendo che, il racconto leggero dell'indicibile non lo rende meno intimo.


Io e mio fratello siamo diventati tutti e due scrittori. Non so cosa risponda lui quando gli chiedono come mai, io dico che è grazie a tutta la noia che ci hanno trasmesso i nostri genitori.


[libro omaggio della casa editrice]

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