Recensione: Il rosmarino non capisce l'inverno di Matteo Bussola


«Invece amo tanto le piante vive. Quelle apparentemente più povere, per niente ornamentali, resistenti e caparbie, che non temono né il gelo di montagna né il freddo di pianura, quasi non li capissero. Se lei mi avesse offerto una piantina di rosmarino, per dire, l'avrei ricevuta con grande piacere.»

Quanto ci vuole per vedersi passare davanti agli occhi le vite degli altri, in un concatenarsi di eventi e coincidenze? Probabilmente ci vuole un'esistenza intera, eppure Matteo Bussola è riuscito a farci sentire anime e sospiri in poco più di centocinquanta pagine, perché tanto è grande "Il rosmarino non capisce l'inverno", il suo nuovo lavoro recentemente pubblicato da Einaudi.
Diciotto capitoli per diciotto storie, indipendenti ma con coincidenze che poi, pian piano, ci prenderanno per mano verso una storia unitaria, grande, piena di dolore ma anche di amore/amori.

La storia inizia dalla fine, in tutti i sensi, con Margherita che maneggia delicatamente il dolore e fa compagnia a chi si avvia nell'ultimo viaggio. Per lei i pazienti sono sempre stati tutti uguali, tutti tranne l'ultima, al cui funerale guarda in faccia, letteralmente, i capitoli della storia che stiamo leggendo.
Non lo capiamo subito, così come non lo capiscono le protagoniste, ma quelle donne riunite, tutte diverse, tutte con un segno di riconoscimento che ce le farà amare, sono là per la cerimonia, per rendere omaggio a una di loro e a loro stesse, ma sono là anche per noi, per mostrarci quello che ci aspetta, pagina dopo pagina.

Matteo Bussola scardina qualsiasi pregiudizio sugli uomini che scrivono di donne con la sensibilità della sua scrittura che è un guanto di seta che si poggia anche sulle ferite più cruente e le lenisce, anche e soprattutto quando non sono sulla sua pelle.
Insolito, penserete voi, e lo penserei anche io, se non mi fossi già più volte lasciata incantare dalla magia di questo scrittore immaginifico nella sua descrizione di ogni sentimento: si sente il dolore, il rimpianto, la lotta interiore di ogni personaggio, così come si avverte la lacerazione dell'abbandono, il sollievo e quella calma dopo la tempesta, soprattutto quando è nel cuore.

Io non so come sia possibile, eppure ogni volta mi ritrovo a sorridere e a versare lacrime di fronte alle vite che Bussola decide di raccontare e "Il rosmarino non capisce l'inverno" non è un'eccezione.
Ogni donna che prende la parola per dirci cosa la tormenta o cosa le è successo, lo fa di volta in volta con una voce diversa, ben udibile e distinguibile, frutto delle esperienze che l'hanno segnata e resa quella che si denuda davanti a noi. Non c'è scampo, non c'è possibilità di mentire di fronte a chi ci guarda negli occhi e si dichiara sconfitto. Perché, alla fine, di questo di tratta, di schiaffi, di graffi, di calci che la vita assesta sapendo bene dove fa più male e noi, leggendo, ci troviamo a comprendere anche quello che finora avevamo scelto di ignorare.

Raccontando le crepe, Matteo Bussola ricostruisce un quadro uniforme della gioia e del dolore di vivere e amare. Disperato e irresistibile.

«Ci sono giorni in cui penso che stiamo insieme per proteggerci a vicenda, ciascuno custode del limite o delle scelte dell'altro. Ci teniamo reciprocamente al sicuro. Non è questo, in fondo, l'amore?»


[libro omaggio della casa editrice]

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