Recensione: Caminito di Maurizio de Giovanni

Caminito que el tiempo ha borrado
que juntos un día nos viste pasar
he venido por última vez
he venido a contarte mi mal.

Quando Maurizio de Giovanni, nel 2019, ha scritto l'ultimo capitolo della serie dedicata al commissario Ricciardi, i suoi lettori appassionati si sono rivoltati.
Non era concepibile fare a meno degli occhi verdi di Luigi Alfredo, occhi che, proprio in quell'ultimo capitolo, hanno pianto tutte le loro lacrime. L'autore si è sentito accusato delle peggiori colpe, non ci si rassegnava all'idea di non sapere cosa fosse successo dopo la nascita della piccola Marta. Non potevamo lasciare, così, tutti i personaggi che erano diventati anche nostri amici nel corso di tredici libri.

Immaginate la gioia che è esplosa quando De Giovanni ha annunciato il ritorno di Luigi Alfredo Ricciardi.

"Caminito"- pubblicato a fine novembre da Einaudi - ci porta nell'aprile del 1939, quando ormai sono passati cinque anni dai tragici eventi che hanno chiuso "Il pianto dell'alba".
La piccola Marta ha cinque anni, vive con il suo papà Luigi Alfredo e con Nelide che le fa da tata,  governante e angelo custode. Segue le lezioni con una maestra che ogni giorno si reca nella splendida dimora vista mare della zia Bianca e le insegna a leggere, a scrivere e le prepara torte buonissime. Meno male che la maestra Stromillo porta sempre con sé suo figlio Federico, così Marta ha un amichetto della stessa età con cui giocare e parlare.

«Papà, il mio papà, ecco il mio papà, diceva tra un bacio e l'altro. E lui ascoltò l'ondata di calore che gli sommergeva il cuore, e pensò a quanto fosse stato pazzo a immaginare di non volere figli.»

Aprile, però, è un'illusione. Illude la natura e illude gli amanti. Illude il popolo con il presunto ordine fascista, con una tranquillità che sottende la violenza repressa e pronta a esplodere. Illude anche il commissario Ricciardi che respira un po' di serenità ma poi si trova a dover dipanare gli indizi di un brutale omicidio e a fare i conti con il suo segreto. Illude Raffaele Maione che è costretto a gestire nuovamente il dolore di Lucia, ma stavolta è determinato a fare in modo che nessuno tocchi la sua famiglia. Illude una donna che ha cambiato Paese, ha cambiato continente e ha cambiato le stagioni, e ora deve coprirsi in un aprile autunnale, dall'altra parte del mondo, mentre ricorda il tepore e la tenerezza di un aprile indimenticabile a Napoli.

«Nel loro breve tempo, che valeva una vita, avevano avuto una panchina.»

Sentiamo risuonare, in tutta la trama, il bolero atipico di Caminito, che ha la malinconia appassionata di un tango, che fa danzare i personaggi secondo un ritmo che segue le emozioni del cuore, che è aggressione e passione, è una danza tra mancanze e assenze.
"Ricciardi non ha mai smesso di raccontarmi storie - confessa Maurizio de Giovanni, nel corso di un incontro esclusivo -. È finito il ciclo dell'educazione sentimentale di Luigi Alfredo e ora è il momento di raccontare un uomo nuovo, che chiede aiuto, che si apre. È un padre. Non ho voluto negargli il piacere di stare da solo con la figlia Marta."

"Caminito" è un romanzo noir in cui c'è la struggente poesia dell'assenza e della tenerezza, c'è la poesia che accarezza il dolore della mancanza e il conforto di ritrovarsi. È un romanzo con un omicidio e con la violenza di regime, ma che guarda al futuro con Marta e tutti gli altri bambini presenti (i figli di Maione, tra tutti). È un romanzo in cui il sollievo non è mai completo e il male non è mai del tutto sconfitto. È il romanzo di un'illusione.

"Caminito" è stato definito come il miglior romanzo di De Giovanni e, se avete amato questa serie, difficilmente troverete da ridire.

L'emozione di ritrovare i personaggi, ma anche le atmosfere, è stata forte.
Ogni volta che mi sono resa conto di quanto sia cambiata, in cinque anni, la Napoli di Ricciardi, ho sentito una ferita aprirsi.
L'idillio dell'amore, la pace della famiglia, tutto sembrava perso e ora, ritrovare quest'uomo - sì, Luigi Alfredo non è più solo un personaggio letterario, forse non lo è mai stato - mentre abbraccia sua figlia, mi ha profondamente commosso.
Maurizio de Giovanni, con questo libro, ci promette ulteriori storie, la sua mano d'autore ci stringe una spalla per rassicurarci: guarderemo ancora in quegli occhi verdi e saremo ancora e sempre parte di quella famiglia. 
E per questo non posso che ringraziarlo di cuore.


«La piccola era bellissima. Una veste gialla che ricordava il sole, una mantellina dello stesso colore a coprirle le spalle, un nastro tra i capelli. Era felice di quella passeggiata, l'aspettava ogni domenica.»


[libro omaggio della casa editrice]

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