Recensione: L'erede misterioso di Georgette Heyer


"Avete mandato a chiamare il vostro erede? Ma il vostro erede è mio zio Matthew, nonno... non è forse così?"
"No," rispose lord Darracott.
"E allora chi è, signore?"
"Il figlio di una tessitrice!"

Quando Georgette Heyer chiama, io rispondo sempre, presente!
Non c'è nessuna sua storia che mi annoi, e anche stavolta con "L'erede misterioso" [Astoria] c'è stata la stessa intesa, fin dalle prime pagine.

Stavolta ci troviamo per le mani una vera e propria commedia degli equivoci.
Quando lord Darracott annuncia di aver richiamato presso la propria antica magione, Darracott Place, il suo futuro erede, nessuno riesce a credere che non sia il suo ultimo figlio, Matthew, ma uno sconosciuto arrivato da chissà dove.
Eppure il maggiore Hugo Darracott non è l'ultimo arrivato: è il figlio del secondogenito del vecchio lord, ripudiato perché si era impuntato a sposare una ragazza di un'altra classe sociale, una tessitrice.
Dopo trent'anni, il vecchio patriarca, sentendo la fine imminente ma non avendo perso nemmeno un briciolo del proprio spirito combattivo, decide che è arrivato il momento di conoscere questo nipote, pur con tutti i pregiudizi nei confronti di un uomo che, secondo lui, è nato e vissuto al di sotto del suo livello.

Quando Hugo si presenta al nonno e ai cugini, sembra proprio quello che tutti hanno sospettato: un provincialotto dal pensiero semplice, che non è in grado nemmeno di guidare un calesse.
Ma Anthea, la cugina destinata dal nonno a fidanzarsi con lui, non ne è del tutto convinta.
Può essere che dietro il suo aspetto imponente e l'accento campagnolo, Hugo nasconda ben altra natura?

"È questo che pensate di me, ragazza?" chiese sua signoria con uno scintillio meglio occhi.
"Oh no," rispose lei con riverenza, "È quello che dico, signore! Dovete sapere che la mia sciocca madre mi ha insegnato a comportarmi con il massimo decoro! Dirvi che cosa penso di voi significherebbe disonorarmi oltre ogni dire!".

Stavolta Georgette Heyer ci porta lontano da Londra e dai salotti del Ton, non ci sono balli né macchinazioni per incastrare lo scapolo più ambito della stagione.
L'ambientazione bucolica toglie un po' del fascino delle seduttive quadriglie che siamo stati abituati a vivere nel romanzo d'amore Regency, ma assistiamo a un diverso assetto della società del periodo, altrettanto affascinante.
Hugo, messo a paragone dei cugini che sono o aspirano a essere dei raffinati dandy abbigliati all'ultima moda londinese, appare rozzo pur avendo una cultura tutt'altro trascurabile e un'autorità riconosciuta, anche se è estraneo dai salotti bene della capitale.
Le rigide regole del Ton appaiono un po' più rilassate in campagna, pur trattandosi di una famiglia aristocratica: la ribelle Anthea va a cavallo anche da sola, concedendosi libertà che le fanciulle di città non riescono nemmeno a sognare; lo stesso Hugo va a cavallo con lei senza chaperon e nessuno ha niente da obiettare. I cugini Vincent e Claud si sentono a disagio nelle loro mise modaiole, a cui però non riescono a rinunciare nemmeno nel generale invito alla comodità per non perdere terreno nella loro corsa alla popolarità.

Accostato fin dal titolo originale, "The Unknown Ajax, alla tragedia "Troilo e Cressida" di William Shakespeare, "L'erede misterioso" riporta numerosi richiami all'opera shakespeariana, soprattutto nella descrizione di Hugo agli occhi dei più raffinati cugini: alla sua comparsa Vincent lo definisce lo zotico Aiace e, in seguito, l'elefante Aiace in riferimento ai suoi modi e alla sua stazza.

Ho molto apprezzato alcune scene che non ho faticato a visualizzare chiaramente su un palco, ad esempio la prima apparizione di Hugo: un capitolo che si conclude con l'annuncio del maggiordomo che c'è l'erede alla porta e il successivo che si apre con tutti i parenti intenti a fissare l'uomo comparso sulla porta, mi ricorda molto un colpo di scena da finale di un atto teatrale.
Lo stesso vale per alcune peripezie particolarmente argute, non ho potuto fare a meno di vedere la sorpresa dipinta sui volti del pubblico in platea.

Del resto, Georgette Heyer ha fatto scuola coi suoi dialoghi brillanti, con i suoi intrecci mai banali e con la caratterizzazione dei personaggi molto accurata.
Pubblicato per la prima volta nel 1959, "L'erede misterioso" è comparso in diverse edizioni nel corso degli anni, fino ad approdare presso Astoria (nella traduzione di Cecilia Vallardi) che si sta occupando di una encomiabile opera di recupero di tutta la produzione della scrittrice inglese.

Io ne vado matta, ormai lo sapete. Non passa anno in cui non legga (o rilegga!) un libro di questa prolifica autrice che, finora, non mi ha mai deluso.


[libro omaggio della casa editrice]


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