Recensione: I sette mariti di Evelyn Hugo di Taylor Jenkins Reid


«Che cosa cerchi veramente, Evelyn?»
«Fai troppe domande.»
«Sono qui per intervistarti.»
«Sono comunque troppe.»

Se e quando leggerete "I sette mariti di Evelyn Hugo" di Taylor Jenkins Reid [Mondadori] non fate il mio stesso errore: non andate a cercare online la vita o le foto di Evelyn Hugo. Perché non ne troverete.
A mia discolpa posso dire che di solito non cado in simili ingenuità e se stavolta è successo, è a causa della bravura dell'autrice che, con molta abilità, è stata capace di regalarci una fiction talmente credibile da sembrare vera.

Evelyn Hugo nasce Evelyn Elena Herrera, nel 1938, figlia di immigrati cubani, trascorre l'infanzia a Hell's Kitchen. Pure coi capelli scuri con cui è nata, Evelyn è bella, ma più di tutto ha un fascino sottile e devastante che, oltre a far girare gli uomini per strada, attira l'attenzione del mondo del cinema.
Tuttavia, prima di approdare sul grande schermo, Evelyn cambierà colore di capelli, accento, nome e marito, lasciando quell'operaio geloso che le aveva permesso di lasciare Hell's Kitchen, quell'uomo che non ne aveva capito il potenziale, eppure funzionale all'approdo agli Studios.

«Puoi decidere che fama e ricchezza non valgono nulla solo quando le hai.»

Il romanzo inizia quando, nel presente, Evelyn contatta Monica Grant, una giornalista semi sconosciuta, per ingaggiarla per scrivere la storia della sua vita. L'attrice sa che non le resta ancora molto tempo e vuole raccontare la sua storia. Ogni velleità narcisistica - che pure poteva essere il motivo che l'aveva spinta, dopo più di cinquant'anni di discrezione, a raccontarsi a cuore aperto -, viene messa da parte a favore della verità.
Perché, dopo essersi nascosta nel posto dove nessuno avrebbe mai pensato di celarsi - cioè sotto i riflettori, sui manifesti dei film, sui giornali di cronaca rosa -, Evelyn vuole raccontare la verità sull'amore che le ha spezzato il cuore ma che, allo stesso tempo, è stato la sua linfa vitale.

Mentre ci racconta dei suoi sette mariti, Evelyn ci porta in giro per Hollywood, ci fa entrare alle feste più ambite, ci fa sedere accanto a lei alla serata degli Oscar.
Il fascino della Hollywood dei tempi d'oro è uno dei dettagli più affascinanti del libro e Taylor Jenkins Reid è maestosa nelle descrizioni degli abiti da sera, ma anche degli sguardi, delle boccate di fumo e dei bicchieri di whisky, delle altezze come delle miserie, del successo come delle cadute.

Evelyn Hugo è la divina di Hollywood e a chi legge la sua vita poco importa che sia un personaggio di fantasia. Ci innalziamo per la sua fama e sprofondiamo per il suo dolore, proprio come faremmo per una celebrità di cui leggiamo il gossip.
Consapevole che nessun libro è perfetto, se proprio dovessi lanciare un j'accuse lo farei contro la prevedibilità di alcune situazioni, ma il colpo di scena finale mi è sembrato una chiusura talmente perfetta del cerchio da farmi passare su qualsiasi altra pecca.


«Ma non ti dà fastidio? Che quando si tratta di te non si parli d'altro che dei sette mariti di Evelyn Hugo?»
«No. Perché sono solo mariti. Evelyn Hugo sono io. E comunque, quando sapranno la verità, saranno tutti molto più interessati a mia moglie.»

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