Recensione: Cronache della mia fame di Claire Kohda


«La mia mente è ossessionata dal bisogno di mangiare».

Siamo troppo abituati a guardare i mostri dentro di noi per riconoscerne uno uscito dalla leggenda e diventato il nostro vicino di casa?
Dopo essere stata affascinata dalla moda letteraria di qualche anno fa, che ha portato i vampiri dappertutto - li piazzavano in ogni genere di storia -, non avevo trovato più niente di originale.
Così, quando è uscito "Cronache della mia fame" di Claire Kohda [HarperCollins] ho pensato che era strano, dopo il declino di quella moda, ritrovare un romanzo su un vampiro e per questo l'ho letto.

Ecco, dimenticate quel filone di vampiri di qualche anno fa. La vampira di Claire Kohda potrebbe davvero essere la vicina di casa che incontriamo per le scale una volta ogni tanto e di cui non sappiamo praticamente niente, ma ben lontana da coriacei super esseri dalle vite da copertina che Twilight ci ha insegnato essere i nuovi succhiasangue.

«Lydia» aveva detto, usando il mo nome completo, cosa che faceva solo quando era irritata. «Pensi che Dio nutrirebbe mai un corpo come il tuo?».

Lydia ha ventitré anni e ha appena accompagnato sua mamma in una casa di cura per malati di Alzheimer. Lydia è un'artista appena diplomata all'Accademia e sta per iniziare uno stage in una galleria a Londra. Deve svuotare la casa dove ha vissuto con la mamma perché non può più permettersela e affitta uno studio che dovrebbe servirle per lavorare e dove, in realtà, finisce per vivere. Non ha soldi, ha pochissime cose raffazzonate in uno zaino e non sa come procurarsi da mangiare.
Cosa ha di diverso Lydia da una qualsiasi giovane donna con poca fortuna e tanta tristezza addosso?
Lydia è una vampira e ha ventitré anni da parecchi anni ormai. Sua madre ha l'aspetto di una quarantenne e non è davvero malata: è solo che, a un certo punto, non è più riuscita a conciliare la finta vita umana con quella da vampira e il suo cervello ha subito una specie di corto circuito dove desidera mangiare i dolci di quando era bambina, in Malesia, e non era ancora una vampira, e poi non riesce a ingerire niente altro che sangue di maiale.

Lydia è figlia di sua madre sia perché l'ha partorita, sia perché l'ha trasformata appena nata per salvarla da una malattia potenzialmente mortale, ma è anche figlia di suo padre, un noto e amatissimo artista giapponese, umano, morto in circostanze mai chiarite.

«Mi piacerebbe, però, poter andare in cerca di cibo e poter mangiare i cibi coltivati dagli artisti in questo edificio. Mi piacerebbe, inoltre, poter andare in un normale negozio e comprare i miei alimenti, togliere un coperchio di alluminio e plastica da una scatola di polistirolo e buttarmi sulla mia cena, come può fare un essere umano con il ramen istantaneo».

Dal padre, Lydia ha preso la fame, l'arte, il desiderio di assaporare cose che prima di tutto divora con gli occhi. Ogni piatto, ogni odore, ogni ristorante davanti a cui passa diventa un mondo in cui lei non è ammessa. Da sempre in conflitto con i due esseri che la abitano - umano e animale -, la ragazza è profondamente sola, alienata dai gruppi di coetanei e ignara dell'esistenza di altri della sua specie, è esclusa da qualsiasi universo. Il desiderio di cibo umano e il malessere che le causa quando ha provato a mangiarlo è un po' il rifiuto che ha Lydia di abbandonare l'altra sua natura che, però, la indebolisce, la affama, visto che le è praticamente impossibile procurarsi del cibo.

Come sua madre, Lydia ha scelto di non uccidere altri esseri umani, così si trova a elemosinare sangue di animali morti o morenti che trova sul suo cammino, ma ciò non le consente di spegnere mai il desiderio di mangiare.
Quando incontra Ben, un artista che ha lo studio vicino al suo, le cose si complicano, perché il ragazzo l'attrae non solo sessualmente, ma anche come qualcosa di irresistibilmente buono da mangiare.

«Com'è possibile che i vampiri in tutti i libri, i film e i programmi tv sembrino sempre così ricchi e di successo, e in grado di affittare o persino acquistare studi, appartamenti, case, a volte intere proprietà? Com'è possibile che riescano a nutrirsi da soli e anche a rimanere così forti? Faccio fatica, ora, persino a colmare il vuoto lasciato da una misera anatra.»

"Cronache della mia fame" è il debutto letterario di Claire Kohda, scrittrice e musicista inglese che finora si è occupata di recensioni sui maggiori quotidiani - The Guardian, The Observer, The Spectator, tra gli altri - e sicuramente le saranno capitati sotto gli occhi i romanzi sui super vampiri di qualche anno fa, quindi non sorprende che la sua Lydia abbia preso una strada completamente diversa.
Con una voce narrante nitida e a tratti piena di dolore, Kohda ci regala un esordio originalissimo, distante anni luce dalle leggende e molto vicino ai problemi che affliggono i giovani di ogni generazione contemporanea - accettazione di sé, del proprio corpo e della propria natura, conflitto col cibo e coi genitori, desiderio di vita -, tanto che anche il terrore di fronte a questo essere dalla ferocia sovrannaturale si stempera in una specie di pietà per quello che potrebbe essere eppure non sarà mai.

L'autrice sta lavorando alla sceneggiatura per la serie tv che sarà tratta da questo romanzo.
Da vedere, senza dubbio.


«Ho voglia di arrendermi, di spalmarmi contro questo muro e chiudere gli occhi e semplicemente non fare nulla.»

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