Recensione: Grande Meraviglia di Viola Ardone


«Il mezzomondo è la casa dei matti, ci stanno i cristiani che sembrano gatti: non hanno la coda, non sanno miagolare, però sono gatti. Gatti da legare.»

Per quanto io possa leggere un centinaio di libri all'anno, ci saranno sempre libri che mi restano incastrati dentro, in un posto che non saprei dirvi dove si trova precisamente, ma a occhio e croce lo avverto tra il cuore e lo stomaco, un punto che si allarga e restringe e che da lì mi trasmette un brivido alla colonna vertebrale e mi fa prima raddrizzare e poi aver voglia di rannicchiarmi.
Quanti libri mi capitano così in un anno? Troppo pochi rispetto a quanti ne augurerei a ogni lettore, ogni volta che apre un libro.

"Grande Meraviglia" di Viola Ardone [Einaudi] è uno di quei libri che mi si conficcano nei pensieri.
Anche adesso che l'ho finito da qualche giorno, permane la sensazione di essere stata messa a parte di una grande storia di vita.

Elba è nata nel manicomio dove sua madre, fuggita dalla Germania giusto prima che tirassero su il muro di Berlino, viene rinchiusa dal marito napoletano. In realtà, il rampollo di una nobile famiglia partenopea non poteva sopportare lo spirito libero della donna e il suo tradimento, così, incinta, l'aveva fatta internare, come succedeva spesso alle donne per le più disparate cause. Elba nasce e cresce al Fascione, tra i matti veri e quelli che poi lo sono diventati lì dentro, nasce internata senza avere colpa né malattia e per lei quello è tutto il mondo. Anzi, è il mezzomondo.

«Nel mondo di fuori non ci sono mai stata, tranne i cinque anni dalle Suore Culone. Ma che importanza ha? È il resto del mondo che viene fin qua.»

La voce di Elba è la guida che raccoglie il lettore sul portone del Fascione e lo porta tra i corridoi, lo fa affacciare nelle camerate e gli presenta le donne e gli uomini che conosce, di cui conosce le vite e la malattia.
C'è Colavolpe, che è il direttore, il capintesta del mezzomondo, vecchia scuola, vecchie idee e pregiudizi; c'è Lampadina, la dottoressa incaricata dell'elettroshock; e poi ci sono le infermiere, tra cui Gilette, una donna un po' rude, con qualche pelo di troppo forse, ma con un cuore grande nascosto sotto la corazza.
E poi ci sono i matti: Sandraccio che chiede senza posa "ce la faccio? ce la faccio?"; la Nonna Sposina che aspetta da sempre il suo innamorato perché da giovane è stata lasciata all'altare, come si dice "l'amore a volte ti capita, ma altre ti decapita"; e con loro Aldina, Mappina, Nunziata, Mastro Lindo.
Infine, la Mutti, la mamma che Elba chiama così per una italianizzazione della parola Mutter nel tedesco che parlano tra di loro, nelle coccole, nelle canzoncine, nei fricci-fricci sul collo, nell'amore di una madre per la figlia.

- Allora noi saremo il Paris San Gennaro, - ridacchia Mastro Lindo.
- È giusto, perché ci vuole proprio un miracolo per farvi vincere... - Il dottorino batte le mani e anche io, Nunziata e Aldina.
_ Noi invece siamo il Patetico Madrid, mio marito era un appassionato di calcio, - si vanta Mappina.
- Patetico? Ma non era Atletico Madrid? - chiede Sandraccio timoroso.
- Nel vostro caso è più appropriato Patetico, - taglia corto il dottorino. - Tutti ai posti e cominciamo!

È il 1982 e la legge Basaglia dovrebbe essere già in vigore da qualche anno, ma al Fascione non è cambiato niente, almeno fin quando non arriva Fausto Meraviglia, il nuovo psichiatra, il dottorino che, appena Colavolpe si gira dall'altra parte, si toglie il camice e fa togliere i camicioni ospedalieri ai pazienti per fargli assaporare qualche briciola di libertà. Le cose non sempre vanno come lui ha immaginato e spesso la realtà è più crudele di qualsiasi legge o teoria e Fausto dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.
Nei suoi giri, naturalmente non può non notare Elba, una ragazzina sana che vive tra i matti come in una bizzarra famiglia allargata in cui, pian piano, entra a far parte anche lui.
Perché Elba vive lì? Perché Colavolpe non segnala la situazione? Perché nessuno pensa che per quella ragazzina dallo sguardo sveglio possa esserci una vita diversa?

Grande Meraviglia come Fausto Meraviglia. Ma anche come la meraviglia di chi ha imparato a vivere senza meravigliarsi mai del dolore, della tristezza, della crudeltà degli altri e, quando arriva il nuovo dottorino, scopre che le cose possono cambiare. Per alcuni l'unica malattia è il manicomio.

Elba si insinua nella vita di Fausto suo malgrado, perché nemmeno lei riesce a concepire per se stessa una vita lontano da quelle corsie piene di urla e tristezze. Eppure, la vita riesce a seguire il suo corso, nonostante le paure e le difficoltà.
Elba e Fausto si capiscono, a volte anche senza parlare, l'una smantella i meccanismi di difesa dell'altro, lui rinuncia volentieri al ruolo di adulto per portare un po' di spensieratezza in una vita che non è mai stata leggera. E nel mezzo, grandi verità, mezze bugie, piccole vittorie.

"Grande Meraviglia" racconta una storia di dolore e rinascita, di ingiustizie e di vittorie, di perdite e di strade che non dovevano incontrarsi eppure diventano viaggi bellissimi.
Viola Ardone occupa un posto particolare nel mio cuore di lettrice e, più ancora, di lettrice napoletana: ogni suo libro parla a quella parte di me che cerca storie grandi, immense, drammatiche ma piene di speranza, quella parte che mi fa sentire a casa, grazie anche a una lingua piena di ironia, di musicalità, densa di significati che si traducono in sorrisi o commozione. 

Dopo "Il treno dei bambini" e "Oliva Denaro", "Grande Meraviglia" si ascrive come il terzo capitolo di una ideale trilogia di esclusi, di donne, uomini e bambini che escono dagli schemi della società per creare un percorso assolutamente originale. I tre libri interagiscono, si toccano, si sfiorano e a tratti si abbracciano, per restituire emozioni tutt'altro che scontate.
Indimenticabile.

«La verità è che non c'è tanta differenza tra matti e mica-matti. Tutte le vite vanno da qualche parte, e quelle che vanno a marcia indietro finiscono qui.»


[libro omaggio della casa editrice]


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