Recensione: La malizia del vischio di Kathleen Farrell


«Il Natale non è Natale senza la famiglia.»

Le feste comandate non mettono tutti d'accordo: è nel loro spirito, credo, tirare fuori il meglio e il peggio di ognuno.
Il Natale non fa eccezione e al classico "merry and bright" sempre più spesso si contrappone tristezza e solitudine.
"La malizia del vischio" di Kathleen Farrell [Fazi Editore] è un romanzo irriverente, graffiante, anche divertente, sui tre giorni di feste natalizie - Vigilia, Natale e Santo Stefano - in cui una famiglia (disfunzionale) si riunisce, tra misteri, segreti e malumori.

«Quando si odono dei passi, per quanto familiari e previsti, questi risuonano invariabilmente minacciosi, in particolare in una sera d'inverno in cui ci si è quasi convinti che nulla esiste nel freddo fuori casa.»

In un villaggio sulla costa del Sussex, la famiglia si riunisce nella dimora della matriarca Rachel che vive con la nipote Beatrice, detta Bess, che la assiste e la asseconda. Arriva la figlia Marion con il marito Thomas; il nipote Piers, promessa accademica e sempre squattrinato; la nipote Kate, indipendente e col cuore spezzato; il figlio Adrian, atteso ma inviso a tutti.

Il romanzo apre il suo sipario - l'impressione di trovarsi di fronte a una messinscena ricorre nel corso della narrazione - il giorno della vigilia di Natale, quando Rachel assilla Bess affinché controlli gli ultimi dettagli prima dell'arrivo della famiglia. Fin dalle prime battute è chiaro che le due donne sono protagoniste di uno schema di prepotenza e sudditanza, e secondo quello schema si muoveranno anche quando arriveranno gli altri ospiti. 

«Sì, certo. Mi piace venire da tua madre al solo scopo di mostrare a tutti che a casa nostra il capofamiglia sei tu!».
«Stasera non ti capisco, Tommy. A casa non fai mai così. La sera siamo felici».
«Perché siamo stanchi. Riconoscere l'infelicità è un atto di ribellione, e le persone stanche non si ribellano».

Man mano che compaiono i personaggi, fin dalle prime battute, riusciamo a inquadrarli: Rachel tira i fili dei suoi parenti come un burattinaio grazie ai suoi soldi; Bess è una creatura impaurita, piena di sfiducia e con l'ansia di non piacere al mondo - ma soprattutto a Piers -, asseconda i capricci di Rachel ma dentro di sé sa di volersene andare lontano; Marion porta i pantaloni in casa e pretende di avere sempre il controllo su tutto e tutti, Thomas si lascia vivere, curandosi poco sia dell'opinione della gente sia dei suoi stessi dubbi, ma all'improvviso si rende conto di non poter continuare così ancora per molto; Piers fa il damerino, civetta con l'anziana zia, consapevole del debole che lei ha per lui e sicuro di poter sempre chiederle un aiuto (economico, beninteso) quando ne avrà bisogno o voglia, con Bess riesce a soddisfare il suo narcisismo; Kate vuole mostrarsi forte, indipendente, ma dopo che il fidanzato l'ha lasciata, si vede intrappolata in un futuro da zitella solitaria; Adrian non voleva tornare dall'Italia dove sbarcava il lunario per procurarsi la bevuta del giorno, ma ora che è lì, cerca di arraffare ancora qualcosa, oltre a tutto quello che i suoi parenti lo accusano di aver già preso.

Tutt'attorno, la casa dalla ricchezza sfiorita, scenario di antichi fasti, ma che ha ancora la presunzione di intimorire con i suoi scaloni, con i corridoi scricchiolanti e i fusibili sempre sul punto di saltare.
Non poteva mancare una governante impicciona e maldisposta nei confronti del mondo, e l'autrice la dipinge esattamente come ci aspettiamo che sia una persona dispotica vessata da una padrona manipolatrice, ma con cui finge di avere ottimi rapporti. L'apoteosi, credetemi.

«Che razza di gente era, questa famiglia che incespicava e strillava in giro per casa?»

Pubblicato nel 1951, "La malizia del vischio" - Mistletoe Malice, in originale - arriva in Italia per la prima volta nella traduzione di Stefano Bortolussi e accende un riflettore su questa scrittrice i cui cinque romanzi sono stati finora ingiustamente dimenticati.
Nota soprattutto per i suoi personaggi dal carattere tagliente, fino a sfiorare il cinismo in alcuni casi, Kathleen Farrell è stata spesso paragonata a Barbara Pym dalla critica contemporanea. Era molto addentro ai circoli letterari dell'epoca, in cui ha conosciuto e supportato attivamente le altre scrittrici del suo tempo come Ivy Compton-Burnett, Olivia Manning e Pamela Hasnford Johnson.

Un romanzo sagace, dal ritmo variabile che segue l'andamento delle serate di festa, pieno di non detti e di pungente ironia, riassume splendidamente lo spirito delle festività e di alcune riunioni di famiglia.
Da rileggere ogni anno in questo periodo.

«Sospirò felice. Presto sarebbe stato lontano da quella casa.»




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