Recensione: Non buttiamoci giù di Nick Hornby


«Voler morire sembra un po' parte dell'essere vivi.»

La notte di Capodanno, mentre la maggior parte delle persone fa progetti per il futuro, un gruppo di persone decide di non voler vivere un giorno di più.
Inizia così "Non buttiamoci giù" (A Long Way Down in originale) di Nick Hornby [Guanda], sul bordo del cornicione di un palazzo di Londra conosciuto dai più come la Casa dei Suicidi.
Martin si è organizzato, ha portato una scala per superare il bordo alto, ha tagliato la rete che recinta il perimetro del tetto e ora sporge coi piedi, cercando l'ispirazione per saltare. Mentre guarda dell'alto la città che festeggia, dietro di lui sente una voce, una donna gli chiede se ne ha ancora per molto. È Maureen, madre single di un figlio gravemente disabile che le occupa ogni momento della vita. Martin non crede all'assurdità della situazione e lui e Maureen stanno discutendo su chi dovesse saltare prima, quando spunta una ragazza che, presa la rincorsa, sta per lanciarsi nel vuoto. Istintivamente Martin corre a fermarla e le si siede sopra immobilizzandola a terra, con l'aiuto di Maureen. Chi manca? Dall'ombra esce il fattorino delle pizze che nessuno di loro ha ordinato. Cosa ci fa lassù?

Non è che è stata una scelta sensata? Non è che sul verbale il coroner ci avrebbe scritto: «Si è tolto la vita dopo un sereno e scrupoloso esame del cazzuto inferno in cui si era trasformata la medesima»?


La verità è che la notte dell'ultimo dell'anno Martin, Maureen, Jesse e JJ, incredibilmente, hanno avuto lo stesso proposito: mettere fine alla propria vita. Dopo essersi raccontati le proprie disavventure e i motivi che li hanno portati su quel tetto, i quattro fanno un patto: si concedono fino a San Valentino di tempo per cambiare le cose o ritrovarsi di nuovo sul cornicione e, a quel punto, nessuno cercherà di far cambiare idea all'altro.

«Siamo andati sul tetto perché non trovavamo la via per tornarci, nella vita, e ritrovarsi tagliati fuori così... be', cazzo, capo, è roba che ti distrugge.»

Londra diventa un labirinto sempre più ingarbugliato a seconda delle preoccupazioni che affliggono ognuno di loro e in cui cercano di districarsi come possono. Urbana, impersonale, quartieri con le tendine alle finestre, Starbucks, ricche dimore, pizza d'asporto: ogni dettaglio crea un'atmosfera unica, cristallizzata nell'epoca in cui è stato scritto, quell'aria brit pop che ho vissuto in prima persona negli anni '90- primi '2000 e di cui ho un'acuta nostalgia.
Hornby non manca di inserire qui e là degli accenni di colonna sonora e, vi assicuro, la sentite aleggiare tra le pagine: i Beatles, i White Stripes, scandiscono i passi dei quattro aspiranti suicidi e i nostri anche.

Pubblicato per la prima volta nel 2005, "Non buttiamoci giù" è diventato un classico moderno grazie all'ironia con cui Nick Hornby riesce a entrare a gamba tesa in un argomento talmente delicato da risultare tabù. I quattro personaggi, presi singolarmente, hanno motivi più o meno validi per fare un gesto così estremo, ma messi a confronto, ognuno smonta la motivazione dell'altro: di fronte alla vita che continua nonostante tutto, al di là di tutto, quale dramma sopravvive? Pressappoco nessuno.

«Problema della mia generazione è che ci sentiamo tutti geni del cazzo. Far qualcosa per noi non è abbastanza e neanche vendere qualcosa, o insegnare qualcosa o solamente combinare qualcosa: no, dobbiamo essere qualcosa.»


Nel 2014 ne è stato tratto un film con Pierce Brosnan, Toni Collette, Aaron Paul e Imogen Poots che segue  più o meno la trama del libro, sebbene con qualche variazione.

"Non buttiamoci giù" è un libro pieno di riflessioni amare ma proposte in maniera talmente ironica che diventa una lettura leggera, condivisibile, consigliabile.
Nick Hornby è un autore che ho da sempre in lista, con più di un titolo. Ho deciso di iniziare da questo e il suo stile mi ha conquistata. Ne vedrete ancora su questa pagina, non ho dubbi.

«Mal comune mezzo gaudio e dato che siamo qui in quattro, il male viene diviso a fette? È questo che vuoi dire?»
«Be', voi mi avete fatta stare meglio.»



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