Recensione: Il nostro grande niente di Emanuele Aldovrandi


«Puoi ancora amare sapendo che sei sostituibile per chi ti sta accanto?»

Leggete attentamente la frase di apertura e fermatevi a pensarci un attimo, se non l'avete mai fatto.
Non voglio sapere cosa avete risposto, a malapena voglio convivere con la consapevolezza di cosa ho risposto io stessa, ma già il fatto di vedere nero su bianco questa paura atavica, mi ha fatto bloccare con in mano il libro d'esordio di Emanuele Aldovrandi, "Il nostro grande niente", recentemente pubblicato da Einaudi.

La voce del protagonista - senza nome - ci confida fin dalle primissime righe che è morto, eppure l'universo continua a muoversi come se non fosse successo niente. Invece qualcosa è successo, almeno per lui: doveva sposarsi dopo pochi giorni con la ragazza con gli occhi grandi e ora non può nemmeno pensare che è la sua vedova, non essendo stata mai sua moglie. Ha lasciato la tazza sul bordo del lavandino, tanto l'avrebbe lavata più tardi, ha lasciato cose in giro per casa, briciole per terra, le ciabatte nel solito posto, nella sicurezza che avrebbe continuato la sua vita come sempre. E invece.

«Pensi a tutte le piccole cose che condividevamo ogni giorno, che ti sembravano così normali e invece adesso ti mancavano così tanto.»

Un incidente tronca la sua vita ma non la voglia di vedere come procedono quelle degli altri, soprattutto della sua amata, ma anche della famiglia, degli amici.
Così, dal giorno zero al giorno 16383, i sentimenti cambiano attorno a lui, al suo ricordo, al dolore della sua perdita e, sebbene lui sia fermo in un eterno presente, si fa strada nel suo racconto la consapevolezza che le vite degli altri sono andate avanti. Senza di lui.

"Il nostro grande niente" è un libro che pungola un nervo che, personalmente, mi resta scoperto, ma forse è abbastanza comune aver paura della morte e dell'oblio.
Alla prima parte, intitolata "La tua vita senza di me", segue - dopo aver voltato l'ultima struggente e profondamente commovente pagina - una seconda parte, "La mia vita senza di te" che, anziché ribaltare il punto di vista, ci pone di fronte a una prospettiva nuova, totalmente inaspettata per il lettore.

Ti mancano i non ti sopporto più.
Ti mancano gli hai esagerato.
E ti mancano i voglio stare con te per sempre.

Quelle palpebre che credevamo chiuse per sempre, tutt'a un tratto, fremono e si aprono su uno sguardo confuso. Che cosa è stato? Dove è andato tutto quel tempo? Come è andata la vita di tutti quelli attorno a lui?

Se volessi raccontarvi i dilemmi, i paradossi e anche i ragionamenti attraverso cui passa il protagonista, vi rivelerei gran parte del libro e invece vorrei tanto che lo scopriste da soli, perché vale davvero la pena di lasciarsi toccare da qualcosa di così magico, eppure disincantato allo stesso tempo.

Inoltre, se tenete conto che questo è un esordio, l'emozione che coinvolge il lettore fin dalla prima pagina diventa la cifra del valore di Emanuele Aldovrandi come esordiente, nel mare magnum dell'editoria italiana.
Perché se è vero - verissimo! - che ogni settimana vengono pubblicati centinaia di libri, è pur vero che a emozionarci sono solo pochi - pochissimi! - ed è di quelli che vale la pena parlare.

«Non è più la mancanza tagliente dell'inizio e non è neanche il dolore della perdita. È qualcosa di più diffuso. Una vaga malinconia.»

"Il nostro grande niente", al contrario del titolo, contiene un grande tutto: l'amore e la paura, che spesso, disgraziati!, vanno insieme; il destino e il sogno; l'ironia che aiuta a passare attraverso parecchie difficoltà; e poi la vita e l'amore che, basta un niente, e prendono strade diverse; e ancora, l'amore e il destino.

Mentre il protagonista riflette sul dolore, ricorda episodi divertenti, assiste alla disperazione della sua amata, dice addio ai sogni che aveva coltivato, il lettore si strugge, sente il cuore andare in frantumi, assiste impotente a una folata di vento che, in un attimo, si porta via tutto.
L'effetto è talmente ben congegnato, quel dolore così reale, le lacrime a tal punto sciolte, che poi, se pure ci dicessero che non è stato vero niente, sembrerebbe tutto un po' appannato, anche la gioia e il sollievo, anche (forse) un meritato lieto fine, che si perde nei giorni normali, quelli pieni di cose a cui prestiamo poca attenzione ma che sono fondamentali una volta che le perdiamo.

«Perché quando ci stringiamo forte prima di dormire, nella nostra tipica posizione, è come se le stringhe che compongono il tuo corpo si aprissero per unirsi a quelle del mio. E le mie a quelle del tuo.»


[libro omaggio della casa editrice]

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