Recensione: La neve in fondo al mare di Matteo Bussola

- Scoprire la profondità della tristezza di un figlio, a neanche sedici anni, è come trovare qualcosa in un posto in cui non te lo saresti mai aspettato. In cui proprio non dovrebbe esserci.
- Che vuoi dire?
- Tipo, non so. Come trovare la neve in fondo al mare.

Quando ti cresce dentro un figlio, senti che l'immensità all'improvviso è diventata una cosa piccola, visibile, che si tiene in una mano. Quando quel figlio viene al mondo, con la stessa velocità, quell'immensità si riempie di paure e oscurità che prima non si immaginavano nemmeno. 
Matteo Bussola in "La neve in fondo al mare" [Einaudi] racconta una delle paure più paralizzanti: perdere un figlio.
Tommy, in realtà, non muore ma resta imprigionato nella sua fragilità adolescenziale, si lascia morire di fame, inerte di fronte alle sfide della vita, mentre il suo corpo si consuma.

È la voce di Tano, il padre di Tommy, che ci parla dell'incubo che sta vivendo lui, ricoverato insieme a suo figlio, ma anche tutta la loro famiglia. Presente e passato si alternano, capitolo dopo capitolo, per comporre un doloroso puzzle che descrive una parabola discendente dalla luce al buio più pesto.

«Spesso, guardandoti nuotare, oppure mentre entri in classe, mi capita di pensare che fra noi due non sono sicuro che tu sia l'aquilone.
Forse, invece, sei tu il filo che riesce a far volare me.»

Tano è un ingegnere, ha una moglie, Grazia, con cui, oltre a Tommy, ha altre due bambine. Tano ha creduto per tutta la vita di avere il controllo su tutto, anche sulla tristezza di un bambino di cui era l'eroe e che, pian piano, è diventato un adolescente che lo ha spogliato del mantello e di qualsiasi superpotere. Ora Tano e Tommy sono ricoverati e, per certi versi, prigionieri del reparto di Neuropsichiatria infantile («Nella testa di un genitore, sono due termini che mai dovrebbero accostarsi») dove attorno a loro si affastellano i casi più disparati e disperati.

Tano si ritrova alla macchinetta del caffè, un'isola neutra in mezzo al dolore, con Amelia che accompagna sua figlia, vittima del male opposto a quello di Tommy, che la porta ad occupare tutto lo spazio che trova, quasi soffocando chi le sta attorno; tutti e due a volte impattano contro l'energia a stento trattenuta di Franco, il padre manager di un'adolescente che si calma ricoprendosi di tagli, un uomo che non fa mistero di quanto trovi assurda tutta quella situazione. Poi arriva Giacomo, istrionico, affascinante, che divide la stanza con Tommy e riesce a comunicare con lui attraverso il linguaggio comune dei social, dei meme, delle risate sguaiate che solo a quell'età hanno una carica esplosiva unica. Tano osserva tutto e sa di essere a sua volta osservato, in una specie di acquario dove si muove a rilento rispetto alla vita di prima, rispetto alla vita di fuori.
Nel reparto resta tutto sospeso, sempre in attesa di qualcosa che smuova le acque e quel qualcosa spesso è un evento devastante.

"La neve in fondo al mare" è un libro crudele per le verità che riesce a dispiegare sotto i nostri occhi, come se per tutto il tempo avessimo guardato la realtà attraverso un vetro sporco e, una frase dopo l'altra, Matteo Bussola tergesse il cristallo per donarci uno sguardo nuovo sul mondo. Uno sguardo disilluso, forse, ma ancora luminoso grazie a quella scintilla di speranza che tutti meritiamo.

Dopo "Il rosmarino non capisce l'inverno" e "Un buon posto in cui fermarsi", Bussola conferma la sua capacità di fotografare i sentimenti più intimi e strazianti, altrimenti effimeri, e di renderli eterni per i suoi lettori.
Indimenticabile.


- E forse, in fondo, mi creda, la parte più difficile del mestiere di genitore è proprio questa.
- Non servire a niente?
- Amare chi non si fida più di noi.


[libro omaggio della casa editrice]

Commenti